444 anni fa

La gloriosa battaglia di Lepanto (Com'è bello dire: «Abbiamo vinto!»)

La gloriosa battaglia di Lepanto (Com'è bello dire: «Abbiamo vinto!»)
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Il turista che volesse raggiungere a piedi la Sagrada Familia dal porto turistico di Barcellona imboccando il Carrer Joan Miró per evitare il traffico, se lo vedrebbe, ad un certo punto, trasformato in Carrer de Joan d’Àustria, e poi - coerentemente, dopo l’incrocio con l’Avenida Meridiana - in Carrer de Lepant. Parallela, sulla sinistra e per tutta la lunghezza del tracciato e anche oltre la meravigliosa costruzione di Gaudí fin quasi alla Ronda del Guinardó, il Carrer de la Marina dove auto e bici sfrecciano a velocità ipersonica.

Il 7 ottobre 2015 sono stati 444 anni dalla Battaglia di Lepanto. Joan d’Àustria (il principe don Giovanni d’Austria) era l’ammiraglio della flotta messa insieme da papa Pio V chiamando a raccolta l’Europa stanca dei Turchi. La marina dei cristiani ci fece una magnifica figura: vinse alla grande. Da allora in poi Lepanto - nome veneziano della cittadina di Nàfpaktos (Naúpaktos), nel golfo di Patrasso - è divenuta il simbolo del trionfo della croce sulla mezzaluna, della fede sugli infedeli. Una vicenda che a raccontare l’entusiasmo che sollevò tra i vincitori si correrebbe il rischio di essere accusati di aver messo noi le bombe di Ankara. Ma erano tempi diversi. Non di terrorismo ma ugualmente - e forse peggio - di terrore quotidiano. Non sta bene ricordare cosa avevano fatto i Turchi al comandante veneziano della fortezza di Famagosta (Cipro) Marcantonio Bragadin, però in fascia protetta i lettori potrebbero cliccare qui per vedere che l’Isis non è poi questa grande novità.

La battaglia di Lepanto, Paolo Veronese
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La battaglia di Lepanto, Paolo Veronese.

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La battaglia di Lepanto (artista sconosciuto).
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La battaglia di Lepanto (artista sconosciuto).

Battaglia di Lepanto, affresco del Vasari.
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Battaglia di Lepanto, affresco del Vasari.

Tutte le informazioni possibili sullo svolgimento dello scontro, la sua preparazione e le sue conseguenze le trovate qui. La pagina è aggiornata a qualche ora fa. Se volete deliziarvi dell’immensa produzione di immagini generata dalla battaglia cliccate qui: poi però fermatevi almeno sulla tela del Veronese conservata a Venezia e sull’affresco del Vasari nella Sala Regia in Vaticano. Ci sarebbe piaciuto vedere anche l’opera che il Tintoretto aveva realizzato per il doge Alvise Mocenigo, ma purtroppo è andata distrutta nell’incendio di Palazzo Ducale nel 1577. In sintesi, tutte affermano una e una sola cosa, la più bella che possa risuonare nel cuore d’un uomo affranto di dolore e di sconfitte: abbiamo vinto! Abbiamo vinto: è la sola (ce ne sono anche altre, ma questa vale più di tutte) affermazione che si può opporre ad ogni possibile relativismo. In nessuna parte del mondo, sotto nessun sole, la felicità generata della vittoria può essere contraddetta. Tanto più se di vittoria insperata si tratta e ottenuta a caro prezzo.

 

[Uno degli arazzi con cui i Doria fecero celebrare la vittoria. Clicca sull'immagine per vedere gli altri.]

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Come canta ancora, a distanza di secoli, lo scrittore e poeta inglese Gilbert K. Chesterton nella sua Lepanto, che potete ascoltare qui recitata nella sua lingua originale e magari seguire qui nel caso vi sfuggisse qualcosa. Come la tela del Veronese è, in realtà, un ex-voto di lusso, così la poesia del creatore di Padre Brown, ascoltata, ha il suono di una ballata che va perso nella traduzione, per pregevole che essa sia. La sua musica è forse la cosa più vicina al clima epico di quel giorno e di quelli immediatamente successivi, pieni come saranno stati di narrazioni in cui ciascuno avrà voluto rivivere col massimo di imprecisione possibile (come spesso accade quando si è troppo felici) quel pugno di minuti, gli sprazzi di sole e di sangue, i rulli dei tamburi e il ruggito delle bocche da fuoco nei quali gli fu dato di vivere da eroe, o almeno di crederlo.

Una curiosità per chi frequentasse la città di Genova (anche i Doria presero parte alla battaglia): per precisare l’importante ruolo svolto dalle navi ai suoi ordini (e fugare i pesanti dubbi sul proprio comportamento) l’ammiraglio Gianandrea Doria commissionò sei enormi arazzi ai maestri di quell’arte, i Belgi. Essi sono oggi esposti nel Palazzo del Principe a Genova (nei pressi della stazione quasi omonima) e presentano la strana caratteristica di essere stati realizzati specularmente rispetto ai disegni originali, di Lazzaro Calvi e Luca Cambiaso. Nessun problema: sono ugualmente bellissimi. E se non rendono bene l’accaduto ne fanno però percepire benissimo l’atmosfera. Che, con buona pace degli storici, è sempre ciò che conta di più.

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