Martinelli, l'ombra, gli occhi, la notte Intervista a un artista autentico

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Dopo le fortunate presentazioni a Pontassieve e al Gabinetto Vieusseux di Firenze del libro-diario Il volto, l'ombra, la memoria, curato da Stefano Crespi per la casa editrice Le Lettere, Andrea Martinelli è stato recentemente protagonista di un’ampia personale a Palazzo Ducale di Urbino dal titolo L'ombra, gli occhi e la notte, curata da Vittorio Sgarbi, amico e ammiratore incondizionato di questo pittore dal tratto elegante ed essenziale. Lui stesso si racconta in uno struggente docufilm intitolato Mistral girato da Alessandro Pucci, nel quale l'artista, in intimistico stato meditativo, parla delle sue origini e dei suoi orizzonti, che una creatività impareggiabile allarga a dismisura.

 

 

Andrea Martinelli è un pittore pratese ormai famoso nel mondo per la bellezza raffinata delle sue opere, una delle quali, La Bocca, esposta addirittura nel Corridoio Vasariano degli Uffizi dedicato agli autoritratti. Nonostante sia un artista di successo, Martinelli rimane legatissimo alle sue origini ed è proprio oltre i tetti della sua città che ha il suo studio: una sorta di mansarda bohémienne che sovrasta comignoli e tegole, con le ampie vetrate di una finestra da cui arriva la giusta luce per lavorare e far brillare tavolozze e colori. Lì Andrea si muove a suo agio con movenze felpate ed eleganti da gatto dandy, e quando invece attraversa strade e luoghi lo fa imprimendo una sorta di francese astrazione, un delicato e originale profumo di sofisticato estetismo estraneo a questo mondo. Uno Storaro dei pennelli capace di inondare le sue opere di luci e ombre in una dimensione caravaggesca eppure personalissima, in un attento e pedante gioco di riduzione, di affievolimento della sostanza che allude fatalmente alla fine.

Chi è Andrea Martinelli?

«Un pratese fiero di essere pittore. Un romantico alla ricerca continua di se stesso, preso dalla tensione di lasciare una testimonianza di se stesso per fregare la morte».

Cos'è per lei la memoria?

«Parte proprio da lì il mio lavoro, dalla memoria che cerco di trasformare facendola rivivere nel presente. In qualche modo, citando il Principe di Salina, corteggio la morte per esorcizzarla sconfiggendola con i miei lavori che spero siano consegnati all'eternità».

C'è decadentismo in questa sorta di disfacimento formale...

«Quando giro per le strade osservo sempre i volti della gente e ne considero i cambiamenti nel tempo. Ho una visione decisamente destrutturata della morfologia umana che mi porta a considerarne in anticipo il disfacimento. Se sto vivendo un amore lo penso già nella sua dimensione finale: accelero gli eventi forse nel tentativo di dominarli».

 

 

La vecchiaia è un tema  destinato ad essere abbandonato?

«Stabilirlo adesso è difficile. In realtà in questo periodo me ne  sto allontanando perché trovo maggiore soddisfazione nel rappresentare il volto della donna che amo».

Chi è Andrea Martinelli nel privato?

«Forse come artista sono più evoluto dell'uomo. In amore sono quasi adolescenziale,  mi do interamente e mi perdo spesso. Questo è motivo del continuo tormento che dipende dalla mia natura. Eppure anche questi aspetti alimentano il mio lavoro che se ne nutre a livello inconscio gettando ombre sui più abbaglianti innamoramenti».

Si reputa un pittore contemporaneo?

«Per forza, vivo in questa epoca. Ma in fondo sono etichette che non sopporto : mi piace piuttosto  essere considerato uno senza tempo».

Il ritratto che non ha ancora fatto?

«L'idea di rappresentarmi ancora una volta mi attrae. So di essere una persona narcisista ed egocentrica che mette in tutti i suoi quadri molte parti di se stesso, ma io sono questo».

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