Ricordi e sogni

Michela Moioli si racconta, dal suo orto all'oro olimpico. Col sogno Milano-Cortina 2026

La campionessa di Alzano, grazie allo sponsor Livigno e a The Owl Post, ha scritto un intenso ed emozionante articolo in cui spiega cosa prova prima di ogni gara. E, soprattutto, narra la sua vita e come si immagina le olimpiadi italiane

Michela Moioli si racconta, dal suo orto all'oro olimpico. Col sogno Milano-Cortina 2026
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Dopo una lunghissima attesa (causa pandemia da Covid in corso), Michela Moioli finalmente è pronta a tornare in pista. Questo fine settimana, a Colere, parteciperà insieme ad altre azzurre (tra cui l'altra bergamasca Sofia Belingheri) a una gara nazionale per prepararsi al meglio al debutto del week-end successivo in Coppa del Mondo. Questo è l'obiettivo più "imminente", a maggior ragione dopo che, a dicembre, è stata cancellata l'attesa tappa di snowboardcross in Città Alta. Ma lo sguardo della campionessa nostrana è rivolto già al futuro. Alle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026.

Per questo motivo, grazie alla collaborazione del suo main sponsor Livigno e di The Owl Post (sito dove si pubblicano articoli scritti direttamente dai grandi atleti), Michela ha pensato di iniziare questa nuova stagione e, soprattutto, il cammino verso Milano-Cortina 2026 con un suo "racconto". Una sorta di pagina di diario scritta a cuore e mente aperti, dove la campionessa prova a trasmetterci le emozioni che prova in ogni gara e soprattutto il suo fortissimo legame con Alzano, con la sua famiglia, con le persone a lei care. Buona lettura.

Sono al cancelletto.

Stringo gli attacchi.

Prendo in mano le maniglie.

E sento proprio che dalle mani, tutto il mio corpo si prolunga, fino alla tavola, e lo sento come un pezzo unico.

Cioè: i miei piedi si prolungano lungo la tavola, sento fino a 50 centimetri più avanti.

Sento tutto.

La muovo sotto di me e sento fin dove arriva.

Mi sento bene.

Non sento freddo, non sento caldo, ho il respiro basso, il diaframma basso.

Sguardo lucido, mi sistemo un po’ la maschera e sento proprio che sono centrata.

Sono dove devo essere, nel mio posto.

E quando mi sento così, faccio il tempo.

Faccio la gara giusta.

Fare la gara giusta non è mai questione di attimi e allo stesso tempo è sempre e solo una questione di attimi.

Dietro a quel cancelletto, con le mani che stringono forte le maniglie e che non vedi l’ora che ti proiettino, quasi ti lancino, a fondovalle, ci sono migliaia di ore. Ore di lavoro, ore di allenamento. Ore di incertezza e di dubbio che ho trasformato con tenacia in convinzione e in sicurezza. Ma, allo stesso tempo, solo il momento presente può dirmi quel che succederà per davvero. Sono le sensazioni che provo prima della partenza, nei secondi immediatamente precedenti al count down, a determinare se, e come, la mia tavola e il mio corpo saranno una cosa sola.

Lo sport e la vita, o quantomeno il mio sport e la mia vita, sono costellati, da sempre, di decine di questi bivi. Intersezioni del tempo, incroci della narrativa. Lanci di una moneta che gira nel cielo e che potrebbe ricadere da un lato oppure dall’altro con la stessa, medesima, noncuranza.

Sono stata una bambina casinista, per esempio. Ma ero anche molto affettuosa.

Mamma racconta di una figlia scalmanata, un maschiaccio che non accettava di perdere in nessun gioco e che tornava a casa sempre sporca di qualche cosa: che fosse terra, neve, erba oppure fango. Eppure, ogni volta che mi accompagnava a piedi fino all’asilo, una volta entrata, correvo subito verso la finestra per poterla salutare con la mano e guardarla mentre percorreva a ritroso i 100, miseri, metri che avevamo appena camminato insieme.

Ero curiosa delle cose del mondo, ma del mondo avevo anche già scoperto la cosa che amassi più di tutte le altre: la mia casa e la mia famiglia.

Ancora oggi, che ho scelto un mestiere che mi fa viaggiare molto, vivo ogni partenza come un’avventura e contemporaneamente come un piccolo abbandono doloroso.

A dirla tutta, la passione che avevo è diventata il mestiere che ho scelto quasi a sorpresa, senza avvisarmi, senza prepararmi alla grandezza di tutto quello che mi avrebbe circondato.

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