Moriva dieci anni fa

La Milano di don Giussani

La Milano di don Giussani
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Don Luigi Giussani morì a Milano il 22 febbraio 2005, dieci anni fa. Insegnante in un liceo e poi all'università, negli anni a cavallo della contestazione e nei decenni successivi diede vita a Comunione e Liberazione, movimento ecclesiale che si è diffuso in tutto il mondo. Chi era questo prete brianzolo che ha segnato la nostra epoca? Un breve testo di chi lo ha conosciuto da vicino e un video che ripercorre alcuni luoghi della sua entusiasmante avventura umana.

 

È stato fra noi. Ha attraversato le strade, girato l’angolo di una casa, detto messa, fatto lezione, incontrato gente. Non ha avuto vergogna di Cristo.

Obbediente ai semafori, insofferente per un ritardo, imponeva sempre a chi lo accompagnava in auto di prendere a destra o a sinistra per scansare il traffico. Aveva fame del mondo. Ogni cosa per Cristo. Ogni parola. Faceva l’elemosina agli incroci.

Tutto per Cristo: mangiare, bere, dormire, studiare, sposarsi, morosarsi. Per Cristo presente tra noi: per alimentarne il desiderio, per farne memoria, per imparare a riconoscerLo, per poterLo annunciare, per innamorarsi di Lui.

Ascoltava. Ascoltava per interesse profondo alla vicenda umana di chi aveva davanti. In realtà perché preda del più vero e più puro degli amori: quello alla propria vocazione interpellata, messa alla prova dall’altro mediante cui Cristo ci raggiunge, ci sorprende, si fa voce e domanda.

Poté fare a meno di voler essere amato perché sapeva che c’era un altro, Cristo stesso, il mendicante, ad aver più di lui bisogno d’amore e su di Lui dirigeva, convogliava tutta la vita di chi lo incontrava.

Seppe esser povero come l’amico che si rallegra della gioia dello Sposo di cui è amico.

Non sappiamo nemmeno se lo volle: gli accadde d’essere così e fu lieto di essere come gli era accaduto di essere.

Una normalità eccezionale. Incontri occasionali in treno, una parola colta al volo durante un’assemblea, l’incipit di una lettera, una frase in un libro, un verso in una poesia: lampi con cui il Destino gli si rendeva presente per farsi condivisibile, tramite lui, a tutti.

Amava parlare di metodo. Solo tardi s’accorse che l’unico di cui era stato fatto capace era un temperamento di lava e lapilli, un atteggiamento verso la realtà, uno sguardo sulle cose che gli  derivavano da nient’altro che dall’abbandono ininterrotto, segreto, quasi furtivo, al rapporto vario, cangiante, multiforme che Cristo aveva deciso di intrattenere con lui.

Pregava sempre, pregava in ogni attività che svolgeva se pregare è lo stupore grato e sovrabbondante che ci coglie nel riconoscere Cristo presente qui e ora. Qui lungo una strada della campagna. Qui davanti alle cime dei monti. Qui sui gradini di una scuola.

Amò, fra le arti, soprattutto la musica e ci insegnò a cantare. A cogliere il canto dove nasce, nella mente del genio che si fa voce del cuore profondo di tutti.

Desiderò essere sistematico. Perché pensava che la cultura fosse costituita dalla capacità di rendere ragione compiuta e sistematica dell’esperienza che ci è dato di vivere. Ma fu travolto dalla sovrabbondanza della grazia che lo portò dove neanche immaginava di poter essere portato. Il suo parlare fu come l’eco di un inesauribile, instancabile desiderio di rituffarsi in una radicalmente inattingibile - e pur presente e zampillante - origine. Memoria continua e assieme desiderio di Cristo incontrato e nello stesso tempo mai definitivamente svelatosi ai suoi e nostri occhi innamorati: Tu.

La sua voce tonante o flebile e, volta a volta, le sua mani forti, stanche o tremanti, i suoi occhi ci hanno sostenuto nella gioia prorompente come nel dolore che taglia le gambe, nella fatica incerta, nella domanda a lungo insoluta. Sapevamo che non era propriamente lui che agiva in lui: gli eravamo grati per quel suo prestarsi ad essere presenza schiva e irresistibile dell’Altro nella nostra vita. Così che potessimo giungere anche noi a non vivere più per noi ma per Colui che abbiamo riconosciuto come Signore del cosmo e della storia.

Pensavamo non dovesse morire mai. Pensavamo giusto.

 

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