10 risposte di un cubano eretico

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Leonardo Padura Fuentes, habanero del quartiere Mantilla, è uno scrittore apprezzato nel mondo per i suoi romanzi (l'ultimo dei quali L'uomo che amava i cani, Tropea ed.) e in modo particolare per la nutrita saga legata al tenente Mario Conde. Dopo un periodo di assenza questo anti eroe cubano, perso nella visione estatica ed ideale del mondo che adora spesso sporcato dalla cattiveria e dai soprusi, riprende adesso nuova vita con Eretici edito da Bompiani e presentato dall'autore nel corso di un tour italiano che ha compreso anche il recente Salone del Libro di Torino. Una conversazione con Padura che apre scenari utili per avere  il polso della situazione cubana in costante evoluzione, con tutti i dovuti se e ma.

 

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Padura, finalmente un ritorno a Mario Conde, con Eretici: cosa racconta di nuovo?

«È un romanzo abbastanza difficile da riassumere, con tantissimi personaggi diversi e molti salti epocali dove il protagonista incontrastato rimane il detective Mario Conde. Questa è una storia in cui si parla soprattutto di libertà come eterna aspirazione dell'essere umano».

Il suo detective si muove nell'Avana dei suoi ricordi o in questa attuale?

«È un'Avana trasversale: con i suoi colori, odori, col suo mare, i tanti rumori e la sua musica, calata nella nostra epoca, eppure oltre il tempo stesso».

In che modo immagina che con i cambiamenti in atto verrà influenzata la sua scrittura?

«Credo per niente. Quello che sta accadendo tra i governi di Stati Uniti e Cuba non ha alcuna incidenza sulla precaria situazione economica dei cittadini dell'isola. Mutamenti quindi che non hanno alcun effetto sulle persone comuni e a maggior ragione su uno scrittore».

Chi ci guadagnerà di più, secondo lei, in questo imminente sblocco dell'embargo?  

«Il problema dell'embargo non è stato ancora risolto e chissà quanti mesi o anni passeranno prima che la legge che lo sostiene venga abrogata. Forse si tratta solo di una eliminazione graduale cominciando a togliere qualche pietra dal muro...».

Raul ha detto nella sua recente visita a Papa Francesco che con un pontefice così pensa di tornare alla religione cattolica. Solo parole?

«Questo non posso saperlo. A volte i politici dicono solo "cose politiche". Aspettiamo e vediamo quel che ci riserva il futuro. Meglio, no?...».

Molti mercati, compreso quello italiano, sono in fermento e grande è l'interesse per aprire trattative commerciali con Cuba. Ma Cuba è davvero preparata a tutto questo?

«Non lo credo. Cuba ha infrastrutture vecchie e non è affatto pronta a sostenere una pressione del genere. La sua è una economia troppo fragile».

Sono migliorate le condizioni economiche dei cubani recentemente?

«Direi che al di là della propaganda le cose sono rimaste tali e quali. Solo una minoranza davvero esigua ha avuto la possibilità di aprire qualche piccola attività. Il resto, che è la parte preponderante, continua a sottostare allo Stato».

Si respira per le strade più aria di rinnovamento o un'atmosfera di sospetto nei confronti di così tante novità?

«La gente continua a doversela vedere con i problemi quotidiani assai pesanti e si disinteressa di decisioni che la vedono estranea».

Uno scrittore come lei vede questa apertura una conquista culturale e una opportunità oppure una cosa da valutare con attenzione e saggezza?

«Per la verità è difficile dirlo. Temo che una eventuale apertura economica corra il rischio di essere accompagnata da un maggior controllo politico e ideologico. Tuttavia come è accaduto per il passato non ci resta che sperare».

Che Cuba si immagina, quale Cuba dovremo aspettarci in un prossimo futuro?

«Non so se sarà così diverso da oggi. Forse sì, forse no. Magari la situazione economica migliorerà nei prossimi anni e alla fine potremmo aderire al modello cinese. Nessuno può saperlo: sono decisioni del governo e fare previsioni sul futuro di Cuba è molto rischioso. Mancano  troppi elementi di informazione per poter giungere a un'analisi che sia veritiera e precisa».

 

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