Gori dichiara: non sono in campo (ma il Pirellone invece è vicino)
In un'intervista a tutto campo, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori non può dire che si candiderà alla guida di Regione Lombardia, perché - precisa - lo deciderà il partito a settembre. Però...
Si candida alle regionali?
«L'ho detto dopo varie insistenze dei vostri colleghi, ma non vuol dire che abbia deciso di candidarmi. Soprattutto non spetta a me decidere. Inoltre ho una responsabilità verso la mia città. Il Pd è in grado di presentare altri candidati. Certamente guardo con interesse alla politica regionale, dove da 25 anni il centro sinistra non vince».
Ma c'è una candidatura a furor di popolo. Altri candidati sono il ministro Maurizio Martina e il segretario regionale Alessandro Alfieri.
«Martina ha fatto una scelta più nazionale, affiancando Matteo Renzi nella corsa alla segreteria del partito e come ministro sta facendo molto bene. Ma ci sono anche altri possibili candidati: Lorenzo Guerini, vice segretario Pd, e Fabio Pizzul, consigliere regionale. Prima cercavamo fuori dal partito, ma oggi ci sono diversi nomi buoni».
È battibile Maroni?
«Penso di sì, è una sfida molto difficile, per chiunque. Le possibilità ci sono, a partire soprattutto dalla dimostrazione di buon governo dei sindaci del Pd. Il giudizio sulla Regione parte da un sostanziale buon vivere dei cittadini lombardi, e la Regione capitalizza aldilà dei suoi meriti. Di conseguenza non sei nella condizione di dire “va tutto male”, ma ci sono diverse potenzialità non adeguatamente sfruttate. Molte delle promesse sventolate negli anni scorsi non sono state realizzate. L'ultima trovata è un referendum inutile, per una cosa che si sarebbe potuta fare da tempo, andando a Roma a trattare su una autonomia differenziata, come prevede la Costituzione e come sta facendo l'Emilia Romagna».
Quindi è pronto a sfidare Maroni?
«In questo caso lei potrebbe scrivere: “Ahahahah”, Gori ride».
Due cose che vorrebbe fare in Regione. Come ha fatto a Bergamo, in una città in declino puntando su cultura e turismo?
«Non ho puntato solo su turismo e cultura. Il cuore dello sviluppo della nostra provincia è una manifattura in fase di importante trasformazione; anche se non abbiamo competenza diretta, possiamo favorirne il rilancio. I bergamaschi, poi, hanno sempre avuto in tasca un tesoro di cultura e arte. Così ho richiamato istituzioni e privati alla cura delle bellezze del territorio: ci sono segnali incoraggianti. Le istituzioni hanno questa responsabilità: tracciare la rotta».
In Regione stessa strada?
«Sì, ma il dossier Regione non l’ho ancora approfondito. Ho la percezione di amministratore lombardo che rileva come la Regione non colga gli obiettivi ambiziosi a cui può puntare. Milano sta vivendo una stagione straordinaria, da capitale d'Europa, ma fino a oggi la politica ha immaginato solo la Città Metropolitana. Una visione miope, perché esiste una Regione Metropolitana, che occupa almeno la Lombardia se non fino a Torino e al Veneto. La Regione può fare molto ma non ha fatto niente».
Pd: come sta andando la campagna per le primarie alla segreteria?
«C'è un'alta partecipazione e un risultato nettissimo a favore di Renzi. In modo uniforme nel Paese con il 65% dei consensi degli iscritti. La sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre è stata molto enfatizzata, come segno di declino della leadership e di un'idea di partito. Invece ci sono energie integre, molti nuovi iscritti. Perché riconoscono in quella politica l'unica possibilità per salvare il Paese».
Molti fedelissimi sono scesi dal carro del perdente...
«Io non ho mai avuto incertezze perché non sono mai salito sul carro: si sale per avere dei benefici, io sono rimasto giù e ho contribuito a spingere, senza risparmiare obiezioni. Sono stati fatti degli errori, ma dalle sconfitte si impara».
Renziano?
«Non ci tengo a queste etichette».
Siete entrambi di sinistra e riformisti, ma ci sono tre cose non condivise con Renzi. Referendum?
«Col senno di poi siamo tutti bravi a dire che era un errore fare così: andare da soli contro tutti per cambiare la Costituzione, contando sul fatto che la razionalità avrebbe prevalso sugli istinti».
Voucher?
«Hanno sbagliato a cancellarli sotto la spinta del referendum della Cgil. Si potevano modificare. Dei voucher non tutto era buono, ma c'erano molte cose positive. Abbiamo lasciato giovani, pensionati, disoccupati e poveri senza uno strumento utile».
Altra critica pesante: la tv?
«Sì, perché sono state fatte scelte che l'hanno indebolita. La prima, ridurre il canone. Metterlo nella bolletta è stato giusto per recuperare l'evasione, avendo così più risorse per fare cose migliori, e magari alleggerire il condizionamento dalla pubblicità. La seconda, il tetto dei compensi per manager e star, che butta la Rai fuori dal mercato: un colossale regalo a Berlusconi e Sky. Spero pongano rimedio, ma non con un cavillo...».
Pd: i vecchi leader se ne sono andati.
«Non tutti, alcuni, due ex segretari, Bersani e D'Alema, con una sparuta rappresentanza, ma ho letto che hanno già cominciato a litigare tra loro. In compenso la stragrande maggioranza degli esponenti storici è rimasta».
La candidatura di Andrea Orlando ha spiazzato?
«La sua candidatura è segno di un confronto tra leader giovani, fuori dalla vecchia conflittualità. È legittimo e sano che ci sia una competizione per la leadership: la si deve guadagnare. Per Renzi, dopo il 4 dicembre, era necessario».
Veniamo alle sue battaglie, che hanno avuto anche rilievo nazionale. Contro il gioco d'azzardo.
«La battaglia nasce dal rendersi conto che la diffusione del gioco d'azzardo diventa spesso malattia. La spesa per il gioco è altissima: a Bergamo 2.536 euro a persona. Un fenomeno correlato con la distribuzione dell'offerta, come confermano le ricerche. Io sono responsabile della salute dei miei concittadini, dei giocatori e dei loro familiari: figli, mogli, fratelli e colleghi che ne pagano il prezzo. Serviva un contenimento, non la totale cancellazione con il rischio di metterlo in mano alla criminalità. A Bergamo abbiamo messo qualche paletto: confermando le disposizioni regionali, sulla distanza dai luoghi sensibili; distanza minima di cento metri da banche e compro oro; divieto di affissione delle vincite; e soprattutto fasce orarie in cui non si può giocare. Smetti e vai a casa. La nostra legge è stata impugnata dalle compagnie del gioco e dai tabaccai: quattro ricorsi al Tar, vinti quasi tutti ma abbiamo perso su un punto. Il giudice ha ammesso che nel rapporto tra tabaccherie e giochi nazionali ci sia una relazione diretta con lo Stato, in cui il sindaco non può intervenire».
Altra battaglia: questione migranti.
«L'accoglienza in Italia è tutta centrata sull'emergenza e non si pone seriamente il tema dell'integrazione. Si affida alla disponibilità dei singoli sindaci per le quote da allocare, così gran parte dei Comuni si sono chiamati fuori e l'onere dell'accoglienza ricade su duemila Comuni su un totale di ottomila. C'è un criterio assistenziale che non responsabilizza i migranti. Obblighiamo tutti a presentare domanda di asilo, sapendo che 8 su 10 non hanno titolo, li accogliamo nei centri, per due anni in attesa di responso, provvediamo al mantenimento, e alla fine 8 su 10 sono fuori. Dovremmo rimpatriarli, ma non lo facciamo. Così restano nelle nostre città. Irregolari e senza soldi».