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Almir, da giovane immigrato a mediatore museale della GAMeC

Almir, da giovane immigrato a mediatore museale della GAMeC
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Almir San Martin, prima di arrivare in Italia, è cresciuto in una famiglia felice e grazie ai suoi genitori si è potuto permettere un articolato percorso di studi universitari. Il Paese in cui viveva, però, il Perù degli anni Ottanta, stava attraversando un periodo turbolento: una guerra civile vedeva contrapporsi i maoisti di “Sendero Luminoso” e lo Stato. Le condizioni economiche erano drammatiche e in quegli anni Almir, insieme ad altri studenti universitari, partecipava alle proteste in piazza. «Studiare in Perù stava diventando un'utopia – ricorda -, convivevamo quotidianamente con la violenza e non vedevamo alcun futuro nel nostro Paese». Fu in quel periodo che si verificò il più grande esodo della recente storia peruviana: circa un milione di persone migrarono per sfuggire alle atrocità.

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Giovane emigrante. Finiti gli studi universitari in scienze dell'educazione, nel 1988 Almir, grazie a una borsa di studio, partì verso l’ex Unione sovietica per seguire un corso di specializzazione. Lì conobbe la sua futura moglie, una ragazza cubana con la quale condivise un anno di vita e di lavoro a l’Avana. Ma l’isola caraibica non riuscì a placare l'irrequietezza di Almir che fin da ragazzo sognava il nostro Paese: «Da piccolo sfogliavo alcuni libri in bianco e nero dove si parlava dei grandi capolavori italiani. Spesso sentivo parlare di questi artisti così lontani: Botticelli, Mantegna, Bellini e ne rimanevo affascinato. Volevo assolutamente andare in Italia».

Almir arriva a Bergamo negli anni Novanta, quando vedere un immigrato sudamericano era una cosa inconsueta. «Il primo lo incontrai dopo sei mesi che mi ero trasferito: al supermercato vidi una donna il cui viso aveva i tipici tratti andini e le domandai: “De donde eres tu?” e lei mi rispose: “Perù”, subito ci abbracciammo, felici ed emozionati per quell’incontro».

Bergamo e l’integrazione. In quel periodo, agli immigrati venivano richiesti soprattutto lavori manuali. Ad Almir viene offerto un lavoro da manovale: «Quando mi venne proposto accettai subito, senza nemmeno sapere cosa volesse dire. Lo scoprii solo successivamente. Durante i primi giorni ero molto preoccupato, perché il muratore che mi aveva assunto parlava solo in bergamasco. Per una settimana non ci siamo parlati, stavamo in silenzio per otto ore al giorno. Lui si rivolgeva a me solo per chiedere di passargli alcuni attrezzi. Io prestavo molta attenzione, perché non volevo sbagliare, non potevo permettermi di essere licenziato. Improvvisamente, alla fine della settimana, mi guardò e mi chiese: “Come ti chiami?” e la seconda domanda fu: “Da dove vieni?”. Io risposi: “Perù”, ma lui capì “terù!". Dopo quel dialogo esilarante diventammo amici». Oggi Almir si sente pienamente bergamasco: «Amo questa terra», dice, e a testimoniarlo è la sua partecipazione a diversi progetti, come l'organizzazione di laboratori di “Educazione alla Multiculturalità” o il suo impegno in varie istituzioni, tra le quali la “Commissione Pari opportunità” della Provincia di Bergamo.

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Il rapporto con l’arte. Ad Almir l’amore per l’arte non è mai venuto meno e l’arte è sicuramente un mezzo per favorire l’integrazione. La possibilità di partecipare ad un corso di formazione in storia dell’arte ideato dalla GAMeC di Bergamo è stata l’opportunità che gli ha permesso di diventare mediatore museale. Quell'originale iniziativa, nata per avvicinare gli immigrati all’arte, ha richiamato grande attenzione, in quanto si trattava della prima esperienza di questo tipo a livello nazionale ed europeo. Successivamente, Almir ha collaborato per due anni ad un progetto con la pinacoteca di Brera, al museo del ‘900, e attualmente collabora in modo continuativo con la GAMeC di Bergamo. E il futuro? In collaborazione con una ONG, San Martin vorrebbe fondare una “Casa della cultura” nella sua terra d’origine, il Perù. Immagina un luogo dove i bambini disagiati possano entrare in contatto con la bellezza e studiare danza, teatro, musica... «Comunque non tornerei in Perù definitivamente - rassicura - ormai sono più bergamasco che peruviano, pota!».

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