COMPAGNI DI STANZA DA SEMPRE

Alessandro Vanotti, bergamasco amico, gregario e angelo custode

Alessandro Vanotti, bergamasco amico, gregario e angelo custode
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Figurarsi se non se lo sono detto almeno una volta, dopo aver spento l'abat-jour e con la pallida luce lunare dietro alle tende, quella che alla fine illumina sempre i sogni di tutti.

«Ale?».
«Dimmi Vincenzo».
«Ma ci pensi se vinco anche il Tour?»
«Eh. Ora però dormiamo».
«Ale?».
«Cosa c'è Vincenzo».
«Vero che me la dai una mano a vincere?»

Tutti dovrebbero avere un Alessandro Vanotti come compagno di vita. Uno che ci rassicuri prima di andare a dormire, che vegli sulle nostre volate, che tiri a tutta sulle salite e fatichi perché si possa arrivare a toccare la gloria. O la gioia. Vincenzo Nibali, quello autentico, lo ha incontrato otto anni fa, e buon per lui che non se n'è più separato. Vanotti è il gregario del campione, l'amico a cui confida i sentimenti, gli stati d'animo. Le ansie prima di una tappa. Sono diventati compagni di stanza ai tempi della Liquigas, e quando Vincenzo nel 2013 è passato all'Astana non ha chiesto tante cose. Anzi, solo due: la possibilità di lavorare sereno e Vanotti come gregario. I kazaki non sono gente che mette il muso davanti a certi dettagli e lo hanno accontentato. «Nibali l'ho preso subito in stanza con me e l'ho cresciuto - ha detto una volta Vanotti - vedevo in lui le qualità del campione, ma c'era un po' di tempo. C'ero nei momenti in cui doveva crescere».

Sarà che Vanotti è dovuto venire su in fretta e certe cose le riconosce al volo. E' nato a Bergamo, e non appena può, ci torna anche solo per «mangiare un gelato». Oggi ha 33 anni, ma quando era un ragazzo, e correva per la squadra dello zio Ennio che per tredici anni era stato un professionista, Alessandro prometteva meraviglie. Vinceva le gare, e sembrava destinato a conquistare i podi ai grandi giri. Ma siccome la vita non la puoi mai programmare, a quattordici anni aveva dovuto smettere di andare in bicicletta perché la mamma non stava bene. A lui era toccato di dare una mano in casa. «Sono stati anni difficili, ma sono riuscito a ripartire, a tenere duro, e oggi sono qua». Qua, cioè al fianco di Vincenzo, in questa carovana gialla che è il Tour de France. Perché la perseveranza è uno dei suoi pregi, e se vuoi fare il gregario la devi avere per forza. Ad aprile aveva appena firmato il foglio di partenza al Giro dei Paesi Baschi. Stava tornando all’ammiraglia, quando è stato letteralmente investito da un tifoso che veniva in direzione opposta. Vanotti è caduto quasi a peso morto e per proteggersi ha messo a terra il gomito sinistro. Frattura scomposta dell’olecranon, un osso del gomito. Gli è stata applicata una fasciatura rigida, poi è stato operato, ma se non fosse stato uno con la testa dura al Tour mica ci sarebbe venuto.

Gente come Vanotti ha la pellaccia dura dura, è per questo che li mettono sempre vicino ai campioni. Perché quelli che vincono sono di una fragilità estrema, per sbocciare devono vivere dentro a una crisalide. Invece tocca ai Vanotti, ai gregari, fare il lavoro sporco. Quelli come lui sono impiegati con la giacca grigia e la cravatta uniforme, tutti uguali a se stessi. Ma non appena vengono chiamati in causa corrono alla prima cabina telefonica, strappano i vestiti e si trasformano in supereroi. Si piazzano dal trentesimo posto in giù. Centrotredicesimi in classifica generale, primi in quella dei sacrifici. Vincono poche tappe, piazzamenti che valgono meno di un sassolino. Vanotti in carriera ne ha conquistata una sola, alla Settimana Ciclistica Lombarda nel 2007 e stava pure a casa sua. Eppure è da gente come Vanotti che dipendono i destini dei Merckx, dei Pantani, dei Bugno. Dei Nibali.

Non staremo qui a elogiare il lavoro del gregario, l'apologia degli uomini dietro le quinte è persino scontata e un po' superflua. Per quelli come Vanotti è un discorso diverso, e diverso per ognuno. Lui, per esempio, ha la capacità di custodire le fragilità del campione a cui deve badare. Nibali si fida, sa che quando c'è da tirare Vanotti al suo fianco non mancherà mai. Poi Vanotti è uno riflessivo, che ama l'autunno e le passeggiate in montagna. Gli piacciono le moto, ma è un vezzo che ancora non si può permettere per via delle corse. Qualche sera fa, mentre stava in stanza, gli è suonato il telefonino. Vanotti non conosceva il numero e lo ha lasciato squillare. Lo ha richiamato solo perché era un numero di Bergamo, e insomma alla fine era Felice Gimondi che si voleva complimentare per tutto quello che lui e Nibali stanno facendo. Insieme, con tutta la squadra. Anche se poi è Vincenzo che si prende i riflettori. Quella dell'abat-jour è dimensione diversa, privata. Che solo loro conoscono. A Vanotti hanno chiesto se il pensiero di perdere la maglia gialla fa addormentare Nibali un po' più tardi. Lui ha risposto: «Ma state scherzando? Lui dorme sempre prima di me». Per forza, quando hai un angelo custode così c'è poco da avere paura.

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