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A Bergamo comandano le donne (Stiamo parlando di arte e cultura)

A Bergamo comandano le donne (Stiamo parlando di arte e cultura)
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Foto in copertina BergamoPost/Mario Rota.

 

A Bergamo arte e cultura sono nelle delicate mani delle donne. Donna è l'assessore alla Cultura, donna la responsabile della gloriosa biblioteca Mai, donne dirigono il museo storico della città e la fondazione Bergamo nella Storia, donna la responsabile dell'Accademia Carrara, della biblioteca Tiraboschi, della Gamec, della stagione di prosa del Donizetti. Qualche maschio resiste, ma sembra si tratti di una specie in via di estinzione. Da proteggere?

 

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Nadia Ghisalberti (assessore), Maria Zoppetti (Ateneo di scienze lettere e arti), Anna Paganoni (Museo Caffi), Roberta Frigeni (Bergamo nella Storia), Stefania Casini (Museo archeologico) ed Elisabetta Manca (Biblioteca Mai).

 

È un fenomeno particolare, che si è realizzato in modo progressivo: è una storia soprattutto degli ultimi cinque-sei anni. Con eccezioni. Per esempio Stefania Casini che dirige il museo archeologico di piazza Cittadella da ventisette anni. Anna Paganoni si trova al timone del Museo di scienze Caffi insieme a un superstite (Marco Valle). Maria Zoppetti presiede l'Ateneo di scienze lettere e arti da dieci anni. Comunque storie recenti. Recentissime per Emanuela Daffra, direttrice dell'Accademia Carrara da meno di un anno, per Roberta Frigeni e Roberta Marchetti che guidano il Museo storico della città da poco più di un anno.

 

Nadia Ghisalberti

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La Sala Galmozzi del Comune di Bergamo.

Finalmente, l'emancipazione. È soltanto un caso, un capriccio delle politiche cittadine? O la presenza massiccia di donne alla guida delle istituzioni culturali cittadine ha un significato ben preciso? Quale? L'assessore alla Cultura, Nadia Ghisalberti, ritiene che si tratti di un fenomeno generale. Spiega nel suo ufficio del teatro Donizetti: «Il fatto che Hillary Clinton sia arrivata a un soffio dall'elezione a presidente degli Stati Uniti è rivelatore di una considerazione nuova della donna, di una trasformazione cominciata decenni fa, di un'opera di emancipazione che ha radici lontane. Per Hillary è andata come è andata e adesso speriamo che la situazione americana non sprofondi. Ma io penso che l'emancipazione della donna rappresenti comunque la rivoluzione vera e più grande del secolo scorso, che continua nei nostri anni. È una strada ancora lunga quella della parità, ma credo che si stia andando avanti e forse anche accelerando. Venendo al "caso Bergamo", credo che queste donne non siano state scelte perché donne, ma per le loro capacità. Penso che in passato non fosse così. Una volta a parità di valore veniva scelto un maschio. Oggi il pregiudizio si è ridimensionato. La candidatura delle donne a ruoli direttivi è vista come un fatto nor male».

Una specificità femminile. Emancipazione della donna, estinzione del pregiudizio. Crescita dell'istruzione come elemento essenziale di questa emancipazione. Ma che cosa apportano le donne di diverso, di specifico, nelle istituzioni? Esiste una "specificità femminile"? Risponde ancora Nadia Ghisalberti: «Io penso che ci siano sensibilità differenti fra uomini e donne. Vedo, per esempio, in noi donne un'inclinazione particolare a coniugare cultura e problemi sociali, a sottolineare il valore positivo delle differenze. Mi sembra di capire che le donne abbiano meno pregiudizi rispetto alla generalità dei maschi. Mi vengono in mente le analisi fatte su questo tema da Eva Cantarella.

Una spinta al cambiamento sociale. Poi non dobbiamo illuderci e guardare bene in faccia la realtà. Gli ambiti della cultura e dell'arte è vero che si incontrano meglio con la sensibilità femminile, ma è anche vero che da un certo punto di vista appaiono come meno importanti e che i maschi hanno forse un po' trascurato questi argomenti. Ma esiste un altro aspetto che voglio sottolineare: avere più donne insieme in un certo ruolo favorisce un cambiamento a livello di comunità, aiuta a modificare, a migliorare la mentalità, spinge la città verso un cambiamento positivo, nel senso della sensibilità, dell'accoglienza».

 

Roberta Marchetti e Roberta Frigeni

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La sezione relativa all'Età veneta del Museo storico.

Alla guida del museo della città ci sono due donne che ancora non hanno compiuto quarant'anni. Sono Roberta Marchetti e Roberta Frigeni, hanno opinioni molto vicine, sovrapponibili. Dice Roberta Marchetti: «Quando io ho studiato Beni culturali a Pavia su trenta iscritti eravamo ventiquattro ragazze. È fuori dubbio che le donne tendano di più all'umanistico, all'artistico. Ed è anche vero che questi sono i settori in cui più facilmente i maschi hanno fatto marcia indietro, ritenendoli meno strategici di altri. Cultura, istruzione, sociale non stanno in cima alle aspirazioni della maggior parte dei maschi».

Roberta Frigeni è d'accordo e aggiunge: «Penso di potere dire che, in generale, da parte delle donne ci sia una capacità pragmatica maggiore. D'altro canto riconosco negli uomini una capacità superiore nell'individuare gli obiettivi e di andarli a cogliere in maniera diretta, senza disperdersi in tante questioni. Gli uomini sono più sintetici, le donne più analitiche». Le due Roberta sono in accordo anche quando sottolineano che una differenza notevole è di tipo relazionale e si coglie sul piano del dialogo, del confronto, più aperto rispetto all'approccio maschile.

 

Anna Paganoni

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Il celebre mammut del Caffi.

Dal museo della città al museo di scienze "Carlo Caffi", diretto da Marco Valle (maschio superstite insieme a Gabriele Rinaldi dell'Orto botanico e a Giacinto Di Pietrantonio direttore artistico della Gamec) e Anna Paganoni. Spiega Anna: «L'area scientifico-tecnologica è diversa rispetto a quella umanistica, qui la prevalenza è ancora maschile, senza dubbio. Io sono laureata in Geologia, ero una delle poche donne iscritte, il dieci percento. Oggi mi dicono che sono attorno al trenta percento. Quando partecipai al concorso per conservatore al museo eravamo in sette, sei maschi e una femmina, io. Riguardo a questa presenza massiccia nella cultura della nostra città mi viene da dire che era ora. Ma in realtà credo che si debba cercare in ogni campo un sano equilibrio, maschi e femmine hanno approcci destinati a integrarsi».

 

Maria Mencaroni Zoppetti

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Una sala dell'Ateneo di scienze lettere e arti.

L'Ateneo di scienze lettere e arti non costituisce una istituzione del Comune; si tratta di un ente autonomo, riconosciuto da decreto del presidente della Repubblica. Maria Mencaroni Zoppetti ne è presidente da dieci anni, prima donna della storia a dirigere il sodalizio plurisecolare. Dice Maria Zoppetti: «Certo è un segnale dell'emancipazione femminile, dell'affermazione della donna, graduale, a volte lenta, ma continua. Ma bisogna anche essere realistici: il settore cultura non è considerato strategico, è ritenuto un orpello. E questo non da ieri. Ma è un errore storico: cultura, conoscenza, consapevolezza sono punti decisivi del bene comune. Il fatto è che oggi passa un'idea di cultura festaiola, superficiale che spesso si rivela di facile fruizione e di scarso valore».

 

Betti Manca

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La biblioteca Mai. Foto BergamoPost/Mario Rota.

Betti Manca dirige la biblioteca Mai, prima donna dopo una lunga fila di uomini, a partire dai primi dell'Ottocento. Una carriera tutta interna, tutta nella gloriosa biblioteca. «Quando sono entrata, i direttori e conservatori della città erano tutti maschi. Rossi alla Carrara, Guerra al museo di Scienze, qui c'era Barachetti. Anche trent'anni fa esistevano donne colte, tuttavia andavano tutte verso l'insegnamento, in genere orientato sulle materie umanistiche. Ma già allora era in atto il cambiamento, le donne cominciavano a rivolgersi a carriere diverse. Mi ricordo ai primi anni Ottanta alla Carrara. Tutti uomini: direttore generale, direttore amministrativo, custode. Eppure cominciavamo ad avere l'idea di avere sì una famiglia e dei figli, ma comunque di emergere anche nel lavoro. Con un valore aggiunto: noi donne per potere emergere dovevamo sconfiggere i pregiudizi e quindi impegnarci a maggior ragione, essere sistematiche, tenaci, preparate. Direi che in questi trentacinque anni le cose sono cambiate, che i pregiudizi si sono di molto attenuati. Credo che comunque un ulteriore valore aggiunto nella donna ci sia, e che anche l'essere madre possa favorire la realizzazione nel lavoro. Quando sono nati i miei due figli ho avvertito una sicurezza, una maturità nuova. Ho capito di essere in grado di fare crescere delle persone, di potere gestire un gruppo. Conosco tutte queste donne, sono venute dopo di me e dirigono istituzioni culturali importanti di Bergamo. Ne ho grande stima, sono tutte donne in gamba, meritevoli. Questa coincidenza può portare qualcosa di buono alla nostra città».

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