Oggi compie 75 anni

Auguri a Renato Pozzetto (come fai a non volergli bene)

Auguri a Renato Pozzetto (come fai a non volergli bene)
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Qualche giorno fa lo avevano dato per morto, per una di quelle bufale che girano impazzite sulla rete. Se la sarà letta con una bella risata, Renato Pozzetto che oggi, con la sua flemma da comico involontario, invece gira la boa dei 75 anni. Pozzetto è uno di quei personaggi a cui è impossibile non voler bene. Uno con poca spocchia, con molta autoironia, uno che non ha mai voluto fare una vita da star preferendo quella da concreto lombardo qual era prima che il cabaret gli cambiasse la vita: era contitolare di una ditta di ascensori. Renato è legato a una delle trasmissioni tv più belle e più allegre di sempre, Il poeta e il contadino, anno 1973, realizzata insieme a Cochi Ponzoni. Una trasmissione che durò poco, che strappò audience assolutamente imprevisti, e che tutti abbiamo ancora negli occhi e soprattutto negli orecchi, grazie alla sigla e ai suoi tormentoni. E chi si dimentica le loro canzoni così intelligenti e “scanzonate”? Ricordate? A me mi piace il mare, La gallina (non è un animale intelligente), Finchè c’è la salute, E la vita, la vita e Come porti i capelli bella bionda...

Hanno cominciato insieme, frequentando uno degli istituti superiori di frontiera di Milano, il Cattaneo. Cochi geometra, Renato ragioniere. Le prime uscite all’Osteria dell’Oca, dove un loro amico, Piero Manzoni, mentre loro intrattenevano il pubblico, vendeva i suoi stravaganti quadri (che oggi vengono contesi alle aste a suon di milioni di dollari).

 

 

Dei due Renato è stato il Buster Keaton, il comico dell’assurdo, l’attore che ti faceva spanciare dalle risate senza dover muovere un muscolo del viso. Un vero genio della comicità in una Milano magica, dove a far da maestro c’era un certo Enzo Jannacci. Un anno solo, 1973. Poi l’apparizione a Canzonissima, 1974. Quindi la decisione di andare ciascuno per la propria strada, facendo sì che quella esperienza lampo (i loro contratti venivano confermati di settimana in settimana...) diventasse vera mitologia, nella storia dello spettacolo e della tv italiana. «Scene della poetica dell’assurdo che li imparentò a Ionesco e Campanile», ha scritto Maurizio Porro. Poi Renato ha fatto tanto altro nella sua vita, si è anche ricongiunto con Cochi per una breve riproposizione della loro trasmissione mitica all’interno di Zelig. «Se avessimo continuato a far serate avremmo sbagliato. Il cabaret era un’atmosfera, il modo di vivere di un periodo che non c’è più», ha spiegato Renato.

 

 

A lui piace la vita di famiglia (ha perso la moglie Brunella Gruber due anni fa), lavora con i due figli, è sempre rimasto legato ai paesi che lo hanno visto nascere e vivere, Laveno e Gemonio (il paese di Bossi, ma lui non è mai stato leghista...). Ha aperto anche un piccolo albergo a cui è affezionatissimo, perché lo ha immaginato come luogo per far innamorare la gente del suo lago, il Maggiore. Lo vedi sempre in giro, tranquillo, affabile, contento, senza mai un atteggiamento da star.

«La gente ci vuol bene, il successo ci ha gratificato» dice, parlando di sé e di Cochi. Poi si abbandona ad un’impennata di legittimo orgoglio: «Il pubblico si stupisce che siamo ancora vivi e noi che restiamo fuori dagli schemi. La nostra rottura nello stile del comico oggi non ha uguali: i ragazzi ci studiano come insetti al microscopio». Del resto Jannacci confermava: a tutti i ragazzi che gli chiedevano di cominciare nel mondo dello spettacolo, diceva semplicemente di guardarsi almeno mille volte Il Poeta e il contadino. Quello era il cabaret perfetto.

 

 

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