Un mondo in cui buongiorno voglia davvero dire buongiorno

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Ho l’impressione fondata e solida che questo sia il Natale meno sentito degli ultimi tempi. Forse è il malumore generale, la crisi, il crollo dei valori spirituali: fatto sta che il pallido simulacro delle feste che ancora resisteva fino a qualche anno fa si è liso fino alla totale fatiscenza.

Frettolosamente passanti dal viso tirato, lo sguardo assorto e distratto da chissà quali pensieri si scambiano meccanicamente auguri, più logori e insulsi di un regalo riciclato. Resistono un po’ gli âgée che recitano diligentemente la parte come attori di un teatro in fallimento che per uno strano miracolo mette ancora in scena forse le ultime repliche.

Badate, non voglio fare un’operazione nostalgia riesumando il vecchio senso della vita che in tutte le sue implicazioni ne aveva sempre uno e spesso molto buono, né mi piace esibire indignazione e disgusto che certi modelli esistenziali contemporanei possono effettivamente suscitare. Mi limito a constatare, con occhio distante, facendo il mestiere del giornalista distaccato nella sua più ontologica e ideale purezza: il Natale come altre cose in questo mondo triste è diventato una triste pantomima. I giovani in genere se presi nel loro complesso sono totalmente indifferenti a questo tipo di ritualità: indifferenti perfino alla sua connotazione più laica, più materialistica. Il pranzo, l’albero, lo stare insieme: giochicchiano con i loro smartphone, con la playstation e questa è la loro vita, questo è tutto. Se proprio costretti dopo qualche ora di assenza dal mondo circostante si alzano da tavola e spariscono senza neppure un cenno di saluto, si incontrano con i loro simili e fanno esattamente le stesse cose di ogni giorno. Come i vecchi nelle piazze di paese di cento anni fa: ripetono gli stessi gesti che però adesso non hanno valore nel concreto ma in lande astratte di un cyberspazio incomprensibile e francamente per niente interessante.

Il Natale e i suoi segni sono ormai il grido nel deserto di qualche parroco di campagna, di pochi sopravvissuti allo schiacciamento omologante da globalizzazione, di chi attaccandosi a formule divenute stantie della festa delle feste riesce a fare business o a convincere i cuori generosi a sganciare soldi per una qualche causa perché "a Natale siamo tutti più buoni".

Ormai perfino le letterine di Natale che un tempo erano tutte cosparse di polverina luccicante e facevano tenerezza ancora prima di scriverci i buoni propositi e i desideri, con tutti quei personaggi della tradizione dipinti sopra, si sono trasformate in  qualcosa tipo "letterina di natale.com" .  I film per i piccoli al cinema sono tutti rigorosamente in 3D , facendo dimenticare come si tratti della storpiatura dilatata di una realtà che non necessita di occhiali speciali per aprire orizzonti e piani ben più affascinanti.

Che dire, ormai non conta più la cosa in sé, ma la sua rappresentazione, il suo ‘eidolon’ per dirla con Eco. Qualche esempio.  Il call center dovrebbe essere un servizio informazioni: quando dopo una odissea tra vocine computerizzate credi di parlare con un essere umano ti imbatti con l’esordio fintamente educato del "cosa posso fare per lei". Dietro la finta cortesia, il nulla. Nella maggior parte dei casi tutto rimane com’è e guai uscire dai parametri previsti da protocolli più ferrei delle leggi mosaiche: semplicemente ciò che dici rimane lettera morta. I treni arrivano in ritardo pazzesco: "ci scusiamo per il disagio". E così se la sono cavata. Sarebbe meglio il silenzio all’ipocrita e automatico avviso, sarebbe certo mille volte meglio un servizio funzionante. Nella nostra società sbilenca priva del senso della misura incapace ormai di saper distinguere a colpo d’occhio, di reagire con guizzi di creatività individuale, sono sotto l’imperio dei  protocolli anche ciò che dovrebbe rientrare tra i normali comportamenti. Entri in un bar e ti accolgono oltre che ( assurdamente) congedarti con un bel "salve": saluto di moda estremamente insulso e impersonale, di una tale anonima freddezza da essere tanto lontano da un bel buongiorno e da un simpatico  arrivederci quanto la Terra da Marte. Poi si prosegue con la domanda di rito: glielo posso scaldare? Poco importa che dentro ci sia maionese o caviale... tutto si presta secondo il barman-pensiero al trattamento microonde. E meno male che un po’ tutti si sentono chef stellati... E la birra: gliela devo mettere nel bicchiere? Se sei al banco di un bar, aspetterai che il tamarro di turno te la chieda in bottiglia (un tempo berla "a boccia" era tipico delle classi infime) ma non il contrario... un barman presta un servizio completo. Ma sto evidentemente sognando uno stile che è stato dimenticato.

E a proposito di stile, di eleganza, Vittorio De Sica in un suo memorabile film evoca la bellezza del nostro modo di salutare e auspica un mondo in cui "buongiorno voglia davvero dire buongiorno". Ecco basta un messaggio come questo per tornare a sperare con l’auspicio che in un futuro vicino si possa riscoprire il piacere delle cose autentiche come la gioia di scambiarsi gli auguri di Buon Natale con un sentito, sincero abbraccio.

Auguri e abbracci che da parte mia vanno a tutti voi, cari lettori.

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