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Il coach di Dalmine

Quando il basket diventa poesia

Quando il basket diventa poesia
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Noto ai più nelle vesti di allenatore di basket, dipendente di Heineken Italia e ora novello poeta. Queste le tre anime di Carlo Zanutto, alias «Zacarcoach», brillante cinquantenne, sposato con Monica e padre di due figlie, Chiara e Marta.

Quali sono i tuoi trascorsi da giocatore e da allenatore?
«Come giocatore non ero un granché, ma ho sempre provato a destreggiarmi: dagli anni nella categoria Cadetti dell'allora Intervites fino agli Juniores e poi qualche stagione in Promozione. Nelle vesti di coach dal 1995 ho allenato le giovanili a Dalmine, vincendo anche il campionato provinciale 2000 con gli Juniores, più una manciata di partite in Serie D dopo le dimissioni di Enrico Frigeni. Da lì l'esperienza tra le file della Virtus Isola Terno, prima con le giovanili regionali poi con il campionato nazionale Under 19, allora afferente all'annata 1989. Successivamente le mie esperienze in panchina hanno riguardato principalmente l'ambito senior: Azzanese, Albino, poi ancora Azzanese, Arzago, Bottanuco, Caluschese, Pedrengo ed ora Palaval».

C'è una squadra in particolare che porti nel cuore?
«Gli '89 di Terno. Erano davvero un gran gruppo».

A quali giocatori sei rimasto particolarmente legato?
«Ad Andrea Signorelli, che ho allenato ad Albino prima e Bottanuco poi. Con Davide Mantecca (scuola Terno, reincontrato a Calusco d'Adda), invece, c'è un grande affetto personale; con Marco “Il Lillo” Zanini e José Laccetta dell'Azzanese l'intesa era ed è soprattutto caratteriale».

 

 

Gli anni d'oro dell'Azzanese Basket cosa ti hanno lasciato?
«Quella che si era formata all'ombra del PalaNozza era una sorta di affinità elettiva, basata su di un certo tipo di lavoro, su un'idea di gioco ben precisa, su valori fondanti. Poi dopo 5 anni il ciclo era finito, punto. Il progetto successivo, per certi versi, è stato una cancellazione di quanto ho contribuito a costruire durante la mia gestione. Penso che tutti, invece, debbano godere di questo gioco. E di questa passione».

Parliamo di scrittura, una passione che fin da ragazzo coltivi in maniera privata. Poi nel 2012 un’occasione e un cambio di prospettiva importanti: ci racconti?
«Tutto è nato grazie a Fabio Scaccabarossi, cantautore trevigliese e attuale vocalist della band pop rock Blutornado, e all’epoca mio giocatore tra le file di Azzano. Quasi per scherzo gli ho donato due testi e lui ne ha ricavato altrettante canzoni (Chiederò e Pezzo di cuore), portate poi ad alcuni concerti dove anche io sono salito sul palco. Da lì in poi è stato un fiorire di progetti e iniziative, dove la mia poesia e le mie parole hanno raggiunto una certa visibilità. Già però stavo pensando di scrivere un libro, dando forma a tanti appunti, note e brani accantonati anno dopo anno, spesso a margine dei libri letti. Grazie ad un amico, Beppe Borromeo, ha preso quindi vita La mia linea dei seieventicinque, il mio primo libro autoprodotto a inizio 2013, una raccolta di poesie che spazia dagli anni Ottanta a oggi, che nella struttura ricalca i quattro quarti – più un supplementare – di un match di pallacanestro. Non so descrivervi l’emozione allora provata nell’averlo tra le mani, fresco di stampa. Seguirono presentazioni, reading e tanto altro. Era solo il primo passo di una grande passione che è ormai una parte importante della mia vita e che, fortunatamente, posso condividere con mia moglie e le mie due figlie».

 

 

Il secondo libro del nostro autore è un’altra raccolta di poesie dal titolo Parole su parole. Volume 1. Nel 2015 il conseguimento del primo premio al concorso organizzato dall'associazione internazionale «Il Paese che non c’è» e la pubblicazione con Feltrinelli di Parole Mie. «Non mi aspettavo minimamente un mio successo. Riuscire vincitore tra letterati, laureati e personaggi di grande levatura culturale è stato a dir poco magnifico», spiega Zanutto. Nel mezzo molte partecipazioni e menzioni in diversi concorsi letterari, iniziative di beneficenza e interventi in radio locali, oltre a poesie dedicate ad Auschwitz e alla Giornata della Memoria, sul femminicidio, e la poesia dialettale. E ancora due sue composizioni dedicate a due colleghi scomparsi sono entrate a far parte dell’antologia Oltre il male, dedicata ai malati terminali, ai sopravvissuti e agli scomparsi precocemente, nell’ambito della rassegna «Verseggiando sotto gli astri di Milano» al BookCity di Milano del 2016 ed edita da Antologica Atelier Edizioni. Per lui si è aperto nel migliore dei modi anche il 2017 grazie al secondo posto al Premio letterario «Don Lorenzo Cortinovis» di Songavazzo (Bg), con la poesia D’altronde è Natale. Un quarto libro è in uscita, che è poi il secondo volume di Parole su parole; altri progetti in cantiere riguardano una raccolta gotica di poesie e racconti, poi un’accorata miscela di pensieri e componimenti poetici condivisi sui social, Facebook in primis.

Infine qualche considerazione sulla tua vita professionale: come coniughi il lavoro alla Heineken con le tue passioni?
«Penso che il lavoro serva a vivere e non viceversa; quando si torna a casa ci si dedica alla pallacanestro e alla poesia. Quest’ultima, per me, non è mai qualcosa di programmato, quanto invece una sorta di “lampo”, di ispirazione improvvisa. Può avvenire in qualsiasi momento: di notte, mentre guido o svolgo un allenamento, a quel punto devo solo prendere una biro e scrivere, su qualsiasi cosa, anche un tovagliolo, e quasi mai modifico quanto scritto così, di getto. Fortunatamente svolgo una professione dove sono a contatto con moltissima gente. Per Heineken gestisco la zona Lombardia-Emilia Romagna, facendo consulenza ai locali e relativi impianti della suddetta area, che è poi quella dove si fanno più eventi, anche importanti e gestiti dalla nostra sede di Milano, soprattutto d’estate. Così mi ritrovo a lavorare durante eventi di primo piano: dalle gare di Formula Uno alla finale di Champions League, passando per una moltitudine di eventi e concerti, in primis l’Heineken Jammin' Festival ma senza dimenticare il mitico concerto di Ligabue nel 2015 a Campovolo. Un posto speciale nel mio vissuto lo riservo anche alla più recente maratona rock di Ligabue a Monza, lo scorso settembre, il cosiddetto “Liga Rock Park”: in quei due giorni ho scaricato tante tensioni, ho lavorato con delle belle persone ed ho scritto molto, in particolare tre poesie che io battezzato come il “Trittico del Liga”, cui sono particolarmente affezionato».

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