Il segretario leghista

Daniele Belotti, il più votato in Italia «Non ci provi: onorevole sarà lei»

Daniele Belotti, il più votato in Italia «Non ci provi: onorevole sarà lei»
Pubblicato:
Aggiornato:

Lo spirito è sempre lo stesso: istrionico e coinvolgente. Daniele Belotti è la perfetta incarnazione della Lega che ha saputo destreggiarsi tra trionfi, inchieste e cadute, da quella bossiana a quella salvianiana. Sempre con lo stesso spirito popolare (non populista), sempre con le radici ben salde nella sua terra. Belotti è l’emblema del “ce l’abbiamo duro 2.0”, di quei militanti nati e cresciuti con Bossi che ora, con Salvini, raccolgono i frutti di tanta appassionata fatica. Il frutto di Belotti si chiama Parlamento. È il candidato che ha preso più voti d’Italia, 105mila.

Ce l’ha fatta, onorevole.
«Non ci provi nemmeno».

A fare cosa?
«A chiamarmi onorevole. Mi fa girare i coglioni, è roba da casta. Sa qual è il problema?».

Qual è?
«Che se mi chiamate così, qua a Bergamo vi posso mandare a quel paese, mentre a Roma sarà più dura».

E si dovrà pure mettere l’abito.
«Ma io non ce l’ho. Ho giusto quattro o cinque giacche tirolesi, quelle con il collo alla coreana e i bottoni con l’aquila asburgica. Mi perdoneranno quelli del Südtiroler Volkspartei. Poveretti, gli hanno pure calato lì, dall’alto, la Boschi».

 

 

Che però ha preso meno voti di lei. Tutti in Italia hanno preso meno voti di lei.
«È una soddisfazione durata lo spazio di una mattina. Già dal pomeriggio quei 105 mila voti sono diventati un peso enorme. Una responsabilità. E poi il sottoscritto non ha inciso».

In che senso?
«Nel senso che la gente votava il partito, non me. Per questo ho ringraziato Salvini, la Lega e tutti i militanti».

Con che spirito ha accolto allora questi voti?
«Con quello di chi sa che deve metterci l’anima. Parlando in gergo calcistico, la maglia sudata sempre. Sono stato benedetto dal Signore, ora devo dimostrare di meritare tutto questo».

Davanti a un successo del genere, non si è pentito di aver atteso tanto a fare il grande salto?
«No. Sarei potuto andare a Roma già nel 1994. Avevo 26 anni e non ero ancora segretario provinciale. Mi era stato chiesto di provarci. Ci ho pensato molto, poi dissi a Bossi di no. Non mi sentivo pronto a gestire una responsabilità così grande. Era troppo».

Successe lo stesso due anni dopo.
«Sì, nel 1996, quando già ero diventato segretario provinciale. Stesso discorso: notti insonni a pensarci e ripensarci, ma alla fine declinai l’offerta».

Da lì solo Bergamo e, al massimo, la Lombardia.
«Ho fatto un altro percorso, culminato con l’assessorato».

 

 

E chiuso con un altro rifiuto, quello alla ricandidatura in Regione nel 2013.
«Mi era arrivato l’avviso di garanzia... Anzi, no, l’avevo letto sui giornali. Era il caso dei rimborsi, in più c’era l’accusa di associazione a delinquere nel processo ultrà. Decisi di non candidarmi di nuovo, non volevo mettere in imbarazzo il movimento, che già stava vivendo una fase complicata. Non erano accuse leggere. La storia dei rimborsi mi faceva stare male. Ci ho messo dieci minuti a decidere di rinunciare alla ricandidatura, non mi potevo ripresentare con ancora pendente l’accusa di essere un ladro. Mai».

È uscito pulito da entrambe. Ne ha passate tante, eppure per tutti lei è solo il «politico ultrà». Le piace come definizione?
«Credo di essere più conosciuto come tifoso che come politico. In effetti per me l’At a la nt a non è solo una squadra di calcio, è una fede. Il Corriere mi ha inserito tra i dieci nuovi parlamentari più “curiosi”, che poi vuol dire fuori di testa, e va bene così per adesso. Non mi dà fastidio. L’importante è che, superata questa fase, si vada oltre. Perché io non sono solo un atalantino integralista, ma uno che va a Roma per fare qualcosa di concreto».

Però un po’ fuori di testa, in senso buono, lo è. Immaginiamo il suo incontro con la Boldrini...
(Ride, ndr) «Le direi: “Senza offesa onorevole, ma lei mi eccita da morire”. E non è sessismo! È una leggera presa per i fondelli che ha pure un fondo di verità».

Pensa di usare l’ironia anche come forma di difesa in un mondo così diverso com’è Roma?
«Può essere, non lo so. So solo che sarà pieno di romanisti e sarà durissima. C'è anche il Club Roma Montecitorio».

 

 

Va forte anche la Juve.
«Ecco, sem a post».

Potrebbe fondare un Atalanta Club.
«Guardi, Gigi Petteni, ultrà dell’Atalanta (ma di tribuna) e nella segretaria generale della Cisl mi ha già chiamato e mi ha chiesto di fondare con lui l’Atalanta Club Roma».

Pronto a prendersi Roma dopo essersi preso Bergamo quindi. Perché con la Lega a queste percentuali, lei è ormai il leader del centrodestra bergamasco.
«No, non scherziamo. Il nostro uomo forte per esperienza e cultura, è Roberto Calderoli».

Allora diciamo che la Lega è il traino del centrodestra anche in città.
«Sì, questo sì».

Quindi il candidato sindaco sarà leghista?
«Si vedrà. Forza Italia, in queste politiche, ha fatto pesare i sondaggi che giravano in autunno e che li davano come primo partito di centrodestra per ottenere più seggi all’uninominale. Quindi dico che noi, a maggior ragione, dovremo far pesare i voti reali che abbiamo preso. Come accadrà e con chi, è ancora presto per dirlo».

Qualcuno ha fatto il nome di Giacomo Stucchi.
«La Lega può esprimere tanti nomi validi».

Tipo?
«È presto. E poi stiamo facendo crescere tanti giovani».

Come Alberto Ribolla e Rebecca Frassini, eletti con lei.
«Esatto. Un movimento politico, del resto, cresce se investe sul futuro. La Lega, su 120 parlamentari, ne ha 17 sui...»

 

Per leggere l’articolo completo rimandiamo a pagina 8 di Bergamopost cartaceo, in edicola fino a giovedì 22 marzo. In versione digitale, qui.

Seguici sui nostri canali