Di che Bergamo state parlando?

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C'è sempre una discrepanza tra ciò che ci si aspetta e ciò che invece ci si trova realmente a vivere. Quest'esperienza, a dirla tutta abbastanza comune, io l'ho vissuta con forza poco più di due anni fa. È allora, infatti, che la mia idea di Bergamo s'è scontrata con la Bergamo reale. Eppure non abito poi così lontano. Un paesino a metà tra la Grande Milano e le incombenti Orobie, proprio a due passi da quella che, ho scoperto poi, qui è ben nota come "la Bassa". Nonostante questa manciata di chilometri, per me Bergamo era una sorta di ultimo baluardo cattolico del Nord, patria di banche, imprese e famiglie ricche, roccaforte di un estremismo leghista trainato dalla forza operaia dei magüt dalla pelle consumata dalle intemperie. Una città tutta chiesa e casonsèi, Atalanta e pota. Ecco: quando ho avuto modo di incontrarla, mi son accorto che non era proprio così.

Tutto questo m'è tornato alla mente domenica 21 agosto leggendo un articolo de La Stampa. Cito: «Cattolicissima, bianchissima, democristianissima. Non è uno spot di Messner ma Bergamo nell’immaginario collettivo, una città di provincia perbenista modello "Signore e signori", molto benpensante in pubblico e magari un po’ malfacente in privato. Eppure anche qui, dove per decenni è stata in vigore una specie di "sharia cattolica" (copyright di Mattia Feltri), sono state celebrate, venerdì, le prime nozze gay. Due le coppie unite civilmente a Palazzo Frizzoni: Caterina Calvi, 55 anni, nota cantante lirica, e Maria Grazia Mombelloni, 68 anni, e poi Paolo Manolatos e Sergio Cabrini, rispettivamente 71 e 67. Prima le signore, com’è giusto». Il pezzo, in sé, è ben scritto, simpatico al punto giusto e corretto nel concetto centrale: la città, davanti alle prime unioni omosessuali che hanno avuto luogo in quel di Palazzo Frizzoni, non s'è affatto scandalizzata. C'è però un piccolo problema, ovvero che la città narrata mi è sembrata tremendamente distante da quella che, quotidianamente, mi trovo a vivere e (provare a) raccontare per BergamoPost.

La Curia, ad esempio. La città era, è e resterà cattolica, ci mancherebbe altro. Ma definirla addirittura «ipercattolica», oggi, mi pare francamente esagerato. Ma soprattutto anacronistico: la Chiesa, quella con la "C" maiuscola d'una volta, non c'è più. Non la si vede e anche cercandola si fatica a trovarla. Mi capita più spesso di sentire lamentele per l'assenza della Chiesa piuttosto che per la sua eccessiva presenza. Soprattutto in provincia, ma anche in città. E L'Eco? Il quotidiano locale più importante d'Italia resta un'istituzione cittadina (e curiale), ma non si può tralasciare il fatto che gli ultimi dati riferiscano di un livello di vendite sceso sotto quota 35mila copie al giorno. La provincia orobica conta oltre un milione e 100mila abitanti: è il mero rapporto numerico a dirci che non è più possibile ritenere L'Eco la voce di tutti (o almeno gran parte) dei bergamaschi come invece fa La Stampa. I tempi cambiano, gli usi anche, e Bergamo con questi.

Non ci sono più le banche e non ci sono più le grandi imprese, il sindaco non passa più le estati in valle ma tra Formentera e la Costa Smeralda, ma in compenso c'è tanta accoglienza e fame di mondo. I turisti pullulano, l'aeroporto vola e l'Università, una volta ritenuta il piano B di chi falliva in atenei ben più rinomati, è oggi una delle più internazionali e organizzate d'Italia. I bergamaschi sono addirittura divenuti i detentori del Guinnes World Record per l'abbraccio più grande del mondo. Un ossimoro praticamente fino a qualche tempo fa. E allora, mi chiedo, c'è davvero da stupirsi se le unioni (non ancora le nozze) omosessuali siano state accettate senza sommovimenti di piazza o forconi al cielo? C'è davvero bisogno di sottolineare che «Bergamo non si scandalizza più», come ha scritto La Stampa? A quanto pare sì, ma non ne sono poi così sicuro.

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