Aldo Biscardi, tra genio e trash La tv ruspante del calcio raccontato
Se n'è andato nell’anno del suo trionfo: del resto, ora che la “sua” moviola aveva fatto il suo ingresso ufficiale sui campi di calcio camuffata con il bizzarro acronimo di Var, il suo ruolo si poteva dire concluso. Aldo Biscardi, 86 anni, nato a Larino, Campobasso, conduttore di sangue sannita, che nel 1980 lanciò quella che sarebbe diventata una trasmissione cult della televisione italiana, Il processo del lunedì. Era l’anno dell'arrivo della terza rete Rai per contrastare l’impetuosa ascesa di Berlusconi, e Biscardi ebbe l’idea di questo format che avrebbe cambiato per sempre il modo di raccontare il calcio in tv.
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Il processo del lunedì, una tv ruspante. Lo abbiamo tutti nella testa come conduttore: in realtà di quella trasmissione Biscardi era soprattutto il regista e il deus ex machina. Era lui a dettare i ritmi affidando la conduzione prima a Enrico Ameri e poi a Marino Bartoletti. Ma nessuno riusciva mettersi nella testa l’idea di tv che Biscardi voleva lanciare: così dal 1983 decise di scendere lui nell’arena, con quei suoi capelli rossi un po’ diabolici, e quel suo accento volutamente e pesantemente molisano. La tv di Biscardi era l’opposto della tv come veniva intesa in Rai (non in Mediaset perché là c’era Drive in). Era una tv ruspante, come se le telecamere non fossero state accese in un studio ma all’interno di un bar sport. Era una tv che raccoglieva senza farsene problema tutti gli stereotipi del tifoso italiano, tifoso rigorosamente al maschile.
Per questo la chimica biscardiana prevedeva l’immancabile presenza al suo fianco della valletta: pensate che la prima fu niente di meno che Novella Calligaris, campionessa olimpica di nuoto. Poi da lì il livello è stato abbassato ad arte, scegliendo ragazze che sapessero fare l’occhiolino al maschio spettatore (Jenny Tamburi, una per tutte). Biscardi era conduttore e imperatore, e voleva una corte obbediente attorno a sé. Lui che antropologicamente era un puro rappresentante dell’Italia berlusconiana, nel 1993 ebbe un mitico scontro televisivo con lo stesso Berlusconi. Un incidente che segnò poi la sua carriera televisiva, in quanto una volta rotti i legami con la Rai in quello stesso 1993, vagò tra tante emittenti, escluse però quelle del Biscione.
L'incendio della moviola. Ma tra tutte le intuizioni quella che consegna Biscardi alla storia è certamente la moviola. Non solo per il fatto che oggi in forma di Var è arrivata anche sui campi della Serie A. La moviola è stato una sorta di detonatore televisivo. Una miccia in grado di far esplodere polemiche, di innescare e incendiare quelle chiacchiere da bar sport che erano il sale del biscardismo. La moviola di Biscardi era un vero espediente teatrale che capovolgeva le verità della domenica, che accendeva polemiche che starbordavano poi dall’ambito dello studio tv e approdavano in tutti i bar sport della penisola. Era uno strumento contagioso, che Biscardi muoveva con abilità, tirando la verità sempre dalla parte che gli interessava, non per partigianeria, ma per garantire audience e successo alla trasmissione. In un certo senso la Var, così asettica, silenziosa, inappellabile è l’esatto opposto della moviola biscardiana. Quella non era fatta per emettere verità, ma per incendiare gli animi. E tener viva quella sua tv, dal sangue caldo.