I brand più ricchi del 2015

Il brand è uno degli elementi più importanti nel mondo aziendale. Il giusto brand non solo può aiutare un’impresa ad aver successo, ma, una volta che il successo è stato ottenuto, può creare un vero e proprio mondo commerciale alle sue spalle. Per intenderci, quanta economia fanno girare colossi dell’imprenditoria quali Google, Apple, Microsoft e compagnia cantante? Una mole. Per questo crea sempre molta attesa la pubblicazione della classifica dei 100 brand più redditizi, stilata in base ai loro guadagni negli ultimi tre anni e con la condizione di avere una presenza globale che includa gli Stati Uniti, firmata da Forbes, stimata rivista americana specializzata in economia e finanza.
Proprio le condizioni “imposte” dal magazine per far parte della classifica hanno escluso dalla top 100 grossi nomi, quale ad esempio Vodafone, azienda ben nota in Italia e nel Vecchio Continente ma non negli States. Resta il fatto che la classifica di Forbes è uno dei punti di riferimento per capire al meglio come si sta muovendo il mondo imprenditoriale mondiale. Anche perché, per ottenere questa lista, è stato usato anche un particolare strumento che, unito ai precedenti due requisiti, ha permesso un’analisi il più possibile completa: si tratta di un moltiplicatore che tiene conto dei prezzi medi e del ruolo più o meno centrale che i brand giocano nei rispettivi settori. In altre parole, come ha spiegato Ninja Marketing, «si è tenuto conto del fatto che, nel prenotare un volo di linea, il prezzo è una variabile fondamentale, mentre nell’acquisto di un’auto di lusso è spesso il nome dietro al veicolo a fare la differenza». Semplice, ma chiaro: ci sono aziende che possono permettersi determinati prezzi solamente (o meglio dire, principalmente) per il marchio che le rappresenta, perché quel marchio è legato a una determinata reputazione sul mercato.
La classifica. Passiamo all’analisi delle posizioni più alte della classifica. Domina, incontrastato, il settore tecnologico: le prime tre posizioni sono infatti tutte occupate da dei giganti dell’hi-tech. Al primo posto troviamo, saldissima, Apple, che con un brand value di 145,3 miliardi di dollari doppia Microsoft, che si piazza seconda con un valore del marchio stimato in 69,3 miliardi, tallonata da Google, terza con un valore di 65,6 miliardi. Le prime aziende non tecnologiche si trovano solo una volta scesi dal podio: Coca Cola è quarta (56 miliardi), McDonald’s sesta (39,5 miliardi). Tra loro un altro colosso dell’hi-tech, ovvero la IBM (49,8 miliardi). Le restanti 4 posizioni sono occupate, rispettivamente, da Samsung (settima, 37,9 miliardi), Toyota (ottava, 37,8 miliardi), General Electric (nona, 37,5 miliardi) e Facebook (decima, 36,5 miliardi). Proprio quest’ultima azienda, però, si aggiudica il titolo di brand con la crescita più forte di tutta la classifica, con un aumento percentuale di 54 punti rispetto alla precedente classifica.
La tecnologia locomotiva economica. Nelle prime dieci posizioni, comunque, a parte McDonald’s, calata dell’1 percento, tutte le aziende sono cresciute: Apple del 17 percento, Microsoft del 10 percento e Google del 16 percento. Non i livelli di crescita di Facebook, ma comunque un segno "più" che dimostra come il settore tecnologico sia sempre più la vera locomotiva economica globale. Apple ne è la dimostrazione perfetta: l’azienda di Cupertino ha saputo sviluppare ai massimi livelli le proprie idee, rivoluzionando letteralmente interi settori, quali quelli degli smartphone e della musica in digitale. A questo si aggiunga il lato estetico: la grande attenzione all’hardware che Steve Jobs ha sempre destinato ai propri prodotti ha avuto il merito di creare una sorta di “aura” attorno ai device marchiati dalla mela. Del boom Apple, inoltre, impressiona il modo in cui l’azienda ha saputo non solo somatizzare, ma addirittura annullare il passaggio di consegne al comando da Jobs a Tim Cook. Chi si aspettava un crollo, almeno iniziale, davanti a questi numeri non può fare altro che ricredersi. Anche perché, a differenza della sua principale rivale nel settore mobile, ovvero la Samsung, Apple ha investito in pubblicità 1,2 miliardi contro gli oltre 4 miliardi dell’azienda coreana. Risultato? Apple è ulteriormente cresciuta del 17 percento, Samsung solo dell’8.
Chi sorride e chi piange. Alle spalle di questi giganti, a stupire positivamente sono la Disney (undicesima, 34,6 miliardi di brand value) e Amazon, (tredicesima, 28,1 miliardi), rispettivamente cresciuti rispetto alla precedente classifica del 26 percento e del 32 percento. E se per Amazon ce lo si poteva aspettare, per la multinazionale dei “cartoni animati” il risultato è piacevolmente positivo, dimostrazione di come abbia saputo adattarsi ai cambiamenti non solo del mercato, ma anche dei gusti del pubblico, variando e differenziando i propri settori d’investimento. Stupisce in negativo, invece, la performance di Adidas: piazzatasi 83esima con un brand value di 6,8 miliardi di dollari, l’azienda tedesca ha perso addirittura 14 punti percentuali rispetto alla precedente classifica, lasciando ulteriore campo rispetto alla sua rivale di sempre, Nike, volata al diciottesimo posto con un brand value di 26,3 miliardi, in crescita del 19 percento. Del resto già a marzo vi avevamo raccontato della crisi che sta vivendo la società d’abbigliamento tedesca: nel 2014 il valore delle vendite si era fermata a 1,1 miliardi di dollari, meno 23 percento rispetto all’anno precedente, il mercato negli States è in calo da 4 anni consecutivi e le azioni della società sono crollate, tra il 2014 e il 2015, addirittura del 40 percento.

Danone è 54esima (9,6 miliardi di $). Il suo brand value è sceso del 13%.

La Adidas chiude in 83sima posizione (6,8 miliardi di $). Ha perso addirittura il 14% di brand value.

La Disney è 11esima in classifica (34,6 miliardi di $), cresciuta del 26%.

Amazon, 13esima nella classifica (28,1 miliardi di $), cresciuta del 32%.
Meno grave, ma altrettanto impressionante, la perdita di valore del marchio Danone: sceso al 54esimo posto della classifica Forbes, il brand value della multinazionale dell’alimentare francese, presente in 120 Paesi, s’è fermato a quota 9,6 miliardi di dollari con un meno 13 percento. In questo caso la colpa principale è della crisi in Europa: nel 2013, infatti, la Danone fu costretta a un taglio del 3,3 percento della propria forza lavoro sul Vecchio Continente, ovvero 26mila persone circa lasciate a casa in 26 mercati europei negli ultimi 2 anni e mezzo. La sua presenza sul mercato americano, infatti, è molto debole a differenza di quella delle rivali Nestlé e Unilever, e pertanto il crollo dei mercati europei, in particolare quello italiano e quello spagnolo (circa il 10 percento ognuno) hanno causato un netto passo indietro nei conti dell’azienda.
E l’Italia? In tutto questo l’Italia resta fuori dai giochi, o quasi. Gli unici due brand con qualche legame con il nostro Paese presenti nella classifica di Forbes sono Gucci, che però da anni è diventata la punta di diamante del gruppo francese del lusso Kering, e Prada. Ad andare meglio è la prima casa di moda, che si piazza al 42esimo posto della top 100 con un brand value di 12,4 miliardi. Prada, invece, facente parte della holding italiana Prada S.p.a., chiude al 74esimo, con un brand value di 7,3 miliardi e un calo del 9 percento rispetto alla precedente classifica. Del resto i dati diffusi a novembre dall’azienda italiana parlavano di un crollo delle vendite pari al 23 percento, passando dai 244,8 milioni di euro del 2014 ai 188,6 del 2015. Un articolo de Il Post, allora, analizzò molto bene la situazione preoccupante della storica casa di moda milanese.