Che fine faranno i padiglioni di Expo
Padiglioni, ultimi quattro giorni di vita. Posto che il Padiglione Zero e quello italiano - con annesso Albero della Vita - resteranno lì, dal 1 novembre scatta il conto alla rovescia per tutti gli altri, verso smontaggio o demolizione. Il pensiero è triste e un po’ paradossale, visto il successo raccolto in questi sei mesi, ma questa è la logica implacabile di Expo. Che richiede, a fine evento, la completa rimozione dei padiglioni di tutti i Paesi. Condizione fondamentale per la partecipazione.
Quelli che saranno demoliti
Il padiglione del Nepal.
Il padiglione della Cina.
Il padiglione della Germania.
Il padiglione del Giappone
Il padiglione del Kazakhstan
Il padiglione del Kuwait
Il padiglione del Qatar
Il padiglione della Colombia
Il padiglione della Corea
Il padiglione della Spagna
Il padiglione della Thailandia
Il padiglione dell'Argentina
Il padiglione dell'Ecuador
Il padiglione dell'Oman
Il padiglione dell'Uruguay
Il padiglione della Germania
Germania. Cominciamo da chi ha scelto la strada della demolizione. Come la Germania, la cui architettura è stata concepita per l’utilizzo temporaneo, durante la stagione estiva a Milano. La costruzione è molto leggera, con un diffuso impiego di membrane, legno e cartongesso. I materiali, una volta demoliti, verranno in gran parte recuperati dai produttori, come ha spiegato al magazine larcchitetto.it il suo progettista Lennart Wiechell.
Cina. Anche il bellissimo padiglione corporate della Vanke, grande gruppo cinese, verrà demolito, per quanto il progetto sia stato firmato dall’archistar Daniel Libeskind. In questo caso è stata studiata un’operazione originale ribattezzata The Long Plan Project (il drago in cinese è chiamato Long). L’obiettivo è una raccolta fondi con la vendita delle 4200 lastre di ceramica rossa che attualmente rivestono l’innovativo involucro della struttura. I soldi serviranno al restauro dell’antico Tempio dei Cinque Draghi, che sorge a Zhonglongquan, nella provincia cinese dello Shanxi.
Nepal. Quanto al Nepal, con la vendita del suo bellissimo padiglione dalle colonne intarsiate, potrà in qualche modo, contribuire alle spese del suo Paese colpito dal terremoto proprio ad inizio Expo.
Kazakistan, Spagna, Thailandia, Qatar, Oman, Uruguay e Corea verranno tutti rasi al suolo.
Ecuador, Argentina, Giappone e Colombia venderanno il materiale.
Il Kuwait invierà in patria tutte le apparecchiature multimediali dell'allestimento.
Quelli che saranno ricollocati
Il padiglione degli Emirati Arabi
Il padiglione del Bahrain
Il padiglione del Cile
Il padiglione del Principato di Monaco
Il padiglione della Repubblica Ceca
Il padiglione della Svizzera
Il padiglione dell'Angola
Il padiglione dell'Azerbaijan
Il padiglione dell'Estonia
Il padiglione dell'Ungheria
Il padiglione dell'Ungheria
Lunga è invece la schiera dei Paesi che hanno sin dall’inizio pensato a un progetto di ricollocazione del loro padiglione.
Angola. Ad esempio l’Angola si è presentata ad Expo con una struttura molto grande e ambiziosa, che verrà rimontata a Luanda per diventare un polo ricreativo per i giovani.
Azerbaijan. Anche le tre gigantesche sfere del padiglione dell’Azerbaijan sono state progettate con l’obiettivo di trasferirle e rimontarle a Baku all’interno di un grande parco urbano. Tutte operazioni dai costi altissimi, ma dal forte valore simbolico: in alcuni casi secondo gli esperti costerebbe meno rifarle da zero che organizzare tutta la logistica dei complicatissimi trasporti.
Barhain. Più lungimirante, da questo punto di vista, la scelta del Barhain, che ha costruito il suo padiglione con 350 elementi prefabbricati in calcestruzzo bianco. Saranno smantellati e spediti in patria per diventare un giardino botanico con tutte le specie più rappresentative del patrimonio agrario del Paese.
Cile. Anche l’affascinante padiglione cileno, progettato da uno degli architetti più in ascesa del mondo, Cristián Undurraga, verrà smontato e ricostruito nel Paese d’origine. La struttura del padiglione è stata concepita come un meccano. Ospiterà un Centro culturale e per questo l’architetto lo ha pensato a pianta libera, in modo da garantire la massima adattabilità al nuovo uso.
Emirati Arabi. Gli Emirati Arabi porteranno il loro gigantesco padiglione, progettato da Norman Foster, a Masdar City, la prima città del mondo a emissioni zero.
Estonia. Le torri in legno del padiglione estone, apprezzate per le altalene, troveranno posto come elementi di arredo nelle città del Paese.
Principato di Monaco. Generoso il piano del Principato di Monaco: i container del suo padiglione saranno messi a disposizione della Croce rossa del Burkina Faso per la creazione di un centro di formazione ai primi soccorsi per i paesi del Sahel. E bravo il principe Alberto!
Repubblica Ceca. La Repubblica Ceca donerà il padiglione alla città di Vizovice.
Slow Food. Pure i moduli di Slow Food saranno smontati per essere destinati a scuole, orti e comunità, sia in Italia che all’estero.
Svizzera. La Svizzera trasformerà le sue quattro torri, alte ciascuna 15 metri, in altrettanti orti verticali da ospitare in quattro cantoni.
Ungheria. L’Ungheria trasporterà il suo edificio a Szombathely, al posto della Caserma degli Ussari, come Centro della Tutela Creativa del Patrimonio e dello Sviluppo dei Valori.
Gli indecisi
Il padiglione del Regno Unito
Il padiglione del Regno Unito
Il padiglione della Francia
Il padiglione della Francia
Non hanno ancora fatto conoscere le loro intenzioni Francia e Regno Unito: i 169mila elementi di alluminio del suo grande alveare per ora non hanno ancora un destino chiaro.
Quelli che restano a Milano
Il padiglione del Brasile
Il padiglione del Brasile
Il padiglione della Coca Cola
Brasile. Il Brasile ha proposto di mettere a disposizione dei milanesi la rete che ha riscosso tanto successo: sono già state fatte delle simulazioni all’interno del Parco Adriano, una zona popolare a Nord-Est della città.
Coca Cola. Resterà a Milano il padiglione della Coca Cola, donato al Comune e destinato a coprire un campo di basket.
Israele. Anche Israele ha offerto a Milano il suo giardino verticale, che ha peraltro un altissimo costo di manutenzione.