Repubblicano da sempre

Clint Eastwood sta con Trump «Basta con questi leccaculo»

Clint Eastwood sta con Trump «Basta con questi leccaculo»
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E pensare che di nome fa Clinton, abbreviato Clint. Clint che per tutti è immediatamente Eastwood. Ma, nonostante quel nome, c’erano davvero pochi dubbi sulle sue poche simpatie verso la candidata democratica alla presidenza. Che oltre ad essere democratica ha per lui anche il limite di essere donna. Non è quindi una sorpresa l’outing che giovedì il grande attore e regista 86enne ha fatto a favore di Donald Trump attraverso un’intervista concessa al mensile hollywoodiano Esquire. Eastwood è repubblicano da sempre, e anche i suoi ruoli al cinema hanno spesso rispecchiato questo suo imprinting. A partire naturalmente da "dirty Harry”, l’ispettore Harold Francis Callaghan della grande saga cinematografica che spopolò negli anni 70. “Harry la carogna” come venne ribattezzato nella versione italiana, che aveva nella sua Smith & Wesson calibro 44 Magnum una sua protesi. Simbolo di un’America che vuol vendere cara la pelle.

 

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Da allora Eastwood è sempre stato volto e voce di un’America profonda, un’America che predilige i politici cowboy e detesta la "pussy generation", la generazione di "fighette" che ha preso piede negli ultimi anni. Di elezione in elezione Clint è sempre sceso in campo per i candidati repubblicani, a partire da Nixon passando per Ronald Reagan, che era stato attore come lui. Con una sola eccezione: non sostenne George Bush junior, in quanto Clint era assolutamente polemico sulla guerra in Iraq. E non è un caso. Il modello dell’America stile Trump è quello di una nazione che bada soprattutto a se stessa, che se deve essere aggressiva lo è solo dal punto di vista commerciale e non va a cercare egemonie culturali su terreni scivolosi. Per questo Trump è andato subito a cercare un patto con Putin, a differenza di Hillary che oggi ha un’immagine ben più guerrafondaia.

Comunque sia la discesa in campo di Clint qualche sorpresa l’ha destata. Perché va a sostenere un candidato che lo stesso partito Repubblicano fa molta fatica a far suo. Un candidato che a dispetto della sua baldanza mediatica appare già debolissimo e che rischia di trascinare il partito verso una sconfitta dalle dimensioni storiche, almeno a guardare i sondaggi.

 

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Ma Eastwood è uno che non fa calcoli e che quando sceglie lo fa come i personaggi che lo hanno reso tanto popolare al cinema: va d’istinto. «Non faccio nessun endorsement. Non ho parlato con Trump né con nessun altro» - ha detto. Riferendosi alla polemica del candidato repubblicano con il giudice Gonzalo Curiel ha aggiunto: «Sapete, ora lo chiamano razzista perché ha parlato di quel giudice e, certo, ha detto una cosa stupida, ma la stampa e l'opinione pubblica ne fa un caso enorme. Ma andate a quel paese... sono tempi davvero tristi. Alla fine dovrò votare per lui». Trump per Clint «è un duro, uno che dice la verità che gli altri non hanno il coraggio di dire, prigionieri della correttezza politica e ultimamente servili». E poi, con tono ancora più rude: «Basta con questi leccaculo che camminano sulle uova e con queste accuse di razzismo che non erano neppure razzismo quando io ero giovane» (erano gli Anni Trenta e Quaranta, quando c'era ancora in America la segregazione dei neri).

Questa battuta svela in parte il movente della discesa in campo di Clint. Sono gli attacchi a cui sono state esposte le forze dell’ordine americane, messe nel mirino prima dalla stampa oltre che da qualche cecchino di colore, furioso per la disparità di trattamento. L’uomo che ha dato il volto all’America profonda e battagliera anche in questo caso non si è tirato indietro. Ma questa adesione ha molto il sapore di una scelta nostalgica per un’America che non c’è più. Di un’America che è stata travolta dalla globalizzazione a cui lei stessa ha dato il via. E che guarda Eastwood con simpatia, come si guarda alle belle caroline del passato.