Il racconto del padre

Come sta ora il bimbo di Aleppo

Come sta ora il bimbo di Aleppo
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Un anno fa, il 17 agosto 2016, la sua foto è entrata nelle nostre vite. Omran Daqneesh - il bimbo siriano che allora pensavamo avesse cinque anni, invece era ancora più piccino - sta seduto immobile dentro un'ambulanza, coperto dalla polvere delle macerie e con una ferita sulla testa. La sua foto non è in realtà una foto, ma un fermo immagine tratto da un video dell'Aleppo Media Centre, vicino ai ribelli, che testimonia un bombardamento aereo a Qaterji, un quartiere di Aleppo. Nel video Omran si guarda la manina insanguinata e sporca, prova a pulirla sul sedile. Non riesce. Poco dopo, Raf Sanchez, il giornalista che ha diffuso lo scatto, ne posta su Twitter un altro: stavolta Omran è steso sulla schiena - lo si riconosce solo dalla magliettina -, con una fascia sulla testa, i dottori l'hanno medicato all'ospedale M10 di Aleppo e verrà dimesso la notte stessa.

 

 

Di lui, poi, non si è saputo più nulla. Fino a qualche ora fa, quando il suo visino, questa volta pulito e con un nuovo ciuffo, è ricomparso sulle tv di regime di Assad e sui circuiti russi, iraniani e libanesi. In un'intervista con il media russo Ruptly, Omran, che sta giocando tranquillamente con un pallone morbido e colorato, guarda verso la telecamera e risponde esitante, specificando di avere quattro anni. Il padre di Omran, invece, in un'intervista per Iran’s Al-Alam News, sulla tv di stato iraniana, racconta di aver avuto paura per la vita di suo figlio, dopo che la sua foto era diventata virale: «Gli ho cambiato il nome e il taglio di capelli, così che nessuno potesse filmarlo o riconoscerlo». Bisogna anche ricordare che l'uomo, nel bombardamento, dopo aver consegnato all'ambulanza Omran, era ritornato sui suoi passi per salvare moglie e figli. Ne aveva perso uno, Ali, di dieci anni. E, nella tragedia, non aveva potuto impedire che Omran venisse filmato: «È stato contro la mia volontà. Ero risalito al piano di sopra, in casa».

 

 

La famiglia di Omran non ha, nonostante questo, lasciato la Siria, come tante altre, del resto, che hanno scelto di proteggere le loro case e le loro proprietà. Spiega Daqneesh: «Sono rimasto qui. Questo è il mio Paese, dove sono cresciuto e dove ho vissuto e i miei figli cresceranno qui». Le sue dichiarazioni si fanno poi filo-Assad, ma non si può sapere se il suo sostegno sia sincero, perché nelle tv di regime è impossibile esprimersi liberamente. Di certo c'è solo che la scorsa estate la famiglia viveva nella parte orientale della città, quella controllata dai ribelli, ora invece abita sotto controllo del regime. Ad ogni modo, nelle interviste Daqneesh critica gli oppositori: «Sono loro che fanno del male a noi e alla nostra nazione». E racconta come proprio i ribelli abbiano cercato di minacciarlo: «Volevano usare la foto di Omran e usare lui», forse rapirlo. Gli hanno offerto soldi, per mettere il bimbo davanti alla telecamera, ma lui ha detto no: «Non voglio denaro e non voglio che i miei figli vengano ripresi». Eppure, ora stanno sulle tv di Assad. E il viso di questo bimbo è di nuovo un simbolo, seppure al contrario, comunque suo malgrado.

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