Com'è triste chi "fa la carità"
La contessa Pia Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare, una delle maggiori azioniste della Megaditta Italpetrolcemetermotessilfarmometalchimica in cui lavora il ragioner Fantozzi, ha i giorni contati. Parlando ai movimenti popolari riuniti a Santa Cruz, in Bolivia, papa Francesco non ha solo disperso il marxismo nei pensieri della sua teoria, ha anche risollevato gli esclusi. Ha ridato speranza ai poveri - cartoneros, gente che fruga nelle discariche -, ha messo i ricchi davanti alla loro tristezza.
«Oggi vorrei riflettere con voi sul cambiamento che vogliamo e di cui vi è necessità. Sapete che recentemente ho scritto circa i problemi del cambiamento climatico. Ma questa volta, voglio parlare di un cambiamento nell’altro senso. Un cambiamento positivo, un cambiamento che ci faccia bene, un cambiamento che potremmo dire redentivo. Perché ne abbiamo bisogno. So che voi cercate un cambiamento e non solo voi: nei vari incontri, nei diversi viaggi, ho trovato che esiste un’attesa, una ricerca forte, un desiderio di cambiamento in tutti i popoli del mondo. Anche all'interno di quella minoranza in diminuzione che crede di beneficiare di questo sistema regna insoddisfazione e soprattutto tristezza. Molti si aspettano un cambiamento che li liberi da questa tristezza individualista che rende schiavi».
Sembra di risentire le parole che Danae, disperata nel mezzo di un tifone, tenendo in braccio il piccolo Perseo, rivolge insieme al suo bambino e al padre degli dei e degli uomini: “Dormi bambino, dorma il mare, dorma lo smisurato male; ma se possibile, o Padre Zeus, mandaci il dono di un cambiamento”. Così il poeta Simonide. Ma il Papa non vuole che prendiamo le gocce per dormire mentre intorno infuria la tempesta perfetta del mondo. O le parole di Paolo agli Ebrei: «Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli [Cristo] ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza [la morte], e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita». Dunque esiste, ha rilevato papa Francesco una minoranza - sempre più sparuta, per altro - che pur facendo di tutto per non accorgersi di nulla e, anzi, credendo addirittura di trarre beneficio da questo sistema in disfacimento, è in realtà preda di una tristezza strisciante. I cultori delle figure retoriche avranno notato la forza dell’endiadi: “insoddisfazione e soprattutto tristezza” di lì a poco rinforzata nel chiasmo ellittico: “Molti (di quei pochi di cui si è detto) si aspettano un cambiamento che li liberi da questa tristezza individualista che rende schiavi». Chi sono questi pochi/ molti? sono coloro che pensano di poter sopravvivere alla bufera non coinvolgendosi in un tentativo comune di salvezza, non facendosi ferire dall’attesa, dalla ricerca forte, dal desiderio di cambiamento presente in tutti i popoli della Terra, ma perseverando in quell’attività sui generis che la tradizione chiama “fare la carità”. Parola, quest’ultima, che risulta assente dal discorso di Santa Cruz, ed è presente solo due volte nell’enciclica, ed entrambe nello stesso paragrafo, il 231 dove è legata a doppio filo con l’altro suo nome: “amore sociale”.
«L’amore sociale è la chiave di un autentico sviluppo: «Per rendere la società più umana, più degna della persona, occorre rivalutare l’amore nella vita sociale – a livello, politico, economico, culturale - facendone la norma costante e suprema dell’agire». In questo quadro, insieme all’importanza dei piccoli gesti quotidiani, l’amore sociale ci spinge a pensare a grandi strategie che arrestino efficacemente il degrado ambientale e incoraggino una cultura della cura che impregni tutta la società. Quando qualcuno riconosce la vocazione di Dio a intervenire insieme con gli altri in queste dinamiche sociali, deve ricordare che ciò fa parte della sua spiritualità, che è esercizio della carità, e che in tal modo matura e si santifica».
A questo rimanda e questo significa la frase di Santa Cruz:
«L’equa distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non è semplice filantropia. È un dovere morale. Per i cristiani, l’impegno è ancora più forte: è un comandamento. Si tratta di restituire ai poveri e ai popoli ciò che appartiene a loro. La destinazione universale dei beni non è un ornamento discorsivo della dottrina sociale della Chiesa. È una realtà antecedente alla proprietà privata».
La contessa Serbelloni Mazzanti, non a caso di nome Pia (come Opera Pia), dovrebbe così accorgersi che tocca cambiare registro. La carità non può più essere il gesto che i ricchi compiono distribuendo parte della loro ricchezza. Non può più nemmeno essere ridotta, laicamente, a filantropia o considerata - tremendo giudizio! - un ornamento discorsivo della dottrina sociale della Chiesa. La carità secondo Francesco implica il fatto di sentirsi coinvolti, a pari grado con poveri e popoli, in un movimento che - se tutto va bene - terminerà nella riconsegna ai poveri e ai popoli di ciò che a loro appartiene da sempre e di diritto perché non sono una parte - l’altra - del mondo, ma l’unico mondo cui appartengono tutti, ricchi compresi. Col nome di “amore sociale” (dunque propriamente caritas, e non semplicemente amor, con tutta l’ambiguità di questo termine) la carità di Francesco ci obbliga (è un dovere morale) «a pensare a grandi strategie che arrestino efficacemente il degrado ambientale e incoraggino una cultura della cura che impregni tutta la società». “Efficacemente” significa che se ne devono poter vedere, controllare i risultati. Non può consistere in un gesto una tantum, non può ridursi a interventi a forte rischio di autocelebrazione. Ha scritto un simpatico personaggio, Nicolás Gómez Dávila che ho conosciuto grazie ad un amico: «Per tentare la Chiesa il diavolo sceglie in ogni secolo un demonio diverso. Quello attuale è particolarmente sottile. L’angoscia della Chiesa dinanzi alla miseria delle moltitudini oscura la sua coscienza di Dio. La Chiesa cade nella più insidiosa delle tentazioni: la tentazione della carità». Della carità modello Contessa Vien dal Mare e assimilati. Per non cedere alla diabolica tentazione non resta dunque che una via: usare della miseria evidente degli esclusi per riprendere coscienza di Dio. Disporsi ad incontrare, nel volto e nella mano dei poveri che stanno seduti - come ha detto il Papa del cieco Bartimeo - “sul loro dolore, a cui al massimo si dà l'elemosina”, il volto di Cristo. Grandi strategie urgono.