Epiche le sfide con Ginettaccio

55 anni fa finì il grande duello e Bartali pianse per Fausto il mito

55 anni fa finì il grande duello e Bartali pianse per Fausto il mito
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Il giorno dopo la morte, Gino Bartali arrivò con quel passo pesante che aveva sempre, entrò nella camera ardente, prese la mano di Fausto Coppi e piangendo disse: «È incredibile, è incredibile». Il grande duello era finito lì. L'Italia aveva avuto bisogno di due così, o sceglievi di stare con Bartali oppure eri per Coppi, e se eri per Coppi allora potevi anche arricciarti il naso e credere che per farcela nella vita bastasse avere il giusto talento. Sembrava impossibile che un uomo così fragile, perennemente alla ricerca di un equilibrio, potesse volare con la leggiadria e l'eleganza di un airone. «Uno scheletro in canna», dicevano. Ma poi, quando prendeva a pedalare e a sforzare quel fascio di nervi e di muscoli, Coppi spiccava il volo, e il cielo dei nostri sentimenti afferrava il vero senso della felicità. Non serviva pensarci. Bastava sentire il rumore delle ali pedalare.

 

Fausto_Coppi (1)

 

Oggi di Coppi si celebra ancora la morte: è la rassegnazione che ci manca. Era rientrato dall'Alto Volta, il Burkina Faso, stanco e debilitato, con il male addosso. Aveva preso la malaria e le cure non furono adeguate. Coppi era partito per una tournée per piacere e per dovere: un safari a Fada N' Gourma (la caccia era la sua grande passione) e il Criterium di Ouagadougou, dove fu battuto da Anquetil. L'ultima corsa fu una sconfitta. Ma a quel punto della vita, ancora così giovane e piena ed energica, la leggenda lo aveva già travolto e avvolto nel suo vestito di seta. A certi uomini è concessa una luce invisibile che attira gli altri, ci attira e ci incanta come una seduta ipnotica. Bartali era quello con le mani callose, la voce roca, che fumava troppe sigarette e spaccava le uova sul manubrio prima di una corsa. Alzava il dito per ammonire il senso morale, e abbiamo sempre chinato il capo. Coppi, invece, ci ha dimostrato che la libertà e la spensieratezza riempiono l'anima di brillantina. Ci è bastato vederlo ragazzo, sempre. Però della vecchiaia di Coppi non ce ne saremmo fatti nulla. Troppo giovane e bello, troppo incredibile perché oltrepassasse la soglia degli anni. Ecco perché la sorte ha deciso di conservarlo ragazzo, e di consegnarcelo sotto forma di mito, o dio, o di montagna.

 

Fausto_Coppi

 

«Le vittorie di Coppi sono diventate un romanzo, le mie cronaca». Per quanto Eddy Merckx si fosse sforzato e prodigato per battere quel mito di Coppi, nessuno disse mai che lo aveva sorpassato. Almeno in leggenda. E così tutti gli altri. Nella nostra memoria c'è sempre un uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, e certo il suo nome continua a essere quello di Coppi. Lo è ancora, e da quando è morto comanda i nostri sogni tutte le volte che cerchiamo qualcosa di grande. Lui, che non è stato un campione e basta, ma un Campionissimo, più grande della grandezza stessa. Figlio di una modernità capita e appresa, segno che i tempi devono cambiare altrimenti invecchiano. E si fanno saggi, rugosi, pesanti. Poi arrivano le tragedie come quella di Coppi, a ricordarci che tutto andrebbe preso con la giusta spensieratezza.

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