In esclusiva a "El Mundo"

«El hombre que mató al Che» racconta come andò davvero

«El hombre que mató al Che» racconta come andò davvero
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El hombre que mató al Che: titola così un’intervista (esclusiva del quotidiano spagnolo El Mundo, apparsa domenica 23 novembre) a Mario Terán Salazar, l’uomo che il 9 ottobre 1967 giustiziò Ernesto Che Guevara. Terán, dal momento in cui, nel 1977 (quasi quarant'anni fa), venne identificato pubblicamente come l’esecutore del leggendario rivoluzionario argentino, non ha concesso alcun tipo di dichiarazione, né tanto meno dettagli circa la morte del “Che”. Questa volta invece, nella sua casa a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, ha spalancato il libro dei ricordi ai cronisti spagnoli, mettendo finalmente a tacere le tante e controverse versioni che da decenni circolano su di lui e sulla morte di Che Guevara, e offrendo, per la prima volta, il resoconto preciso di quel giorno di primo autunno del 1967.

L’incontro con Terán. Ildefonso Olmedo e Juan José Toro, i giornalisti che conducono l’intervista, incontrano Mario Terán presso la sua residenza boliviana, descritta come un’abitazione agreste, attorniata da un giardino piuttosto trascurato in cui abbaiano senza tregua due cani. Terán li accoglie in salotto: un uomo ormai molto anziano, con i segni, fisici e spirituali, dei tanti anni trascorsi al servizio dell’esercito boliviano. La stanza pullula di ricordi militari, come se Terán, ogni giorno, sentisse il bisogno di far memoria di chi è stato, e, in particolare, del suo ruolo, quel 9 ottobre 1967. La prima domanda dei giornalisti può essere solo una, tanto diretta da sembrare quasi noncurante della sensibilità di Terán, inevitabile: «È stato lei, quindi, ad uccidere Ernesto Che Guevara?». Il «Sì, sono stato io» di risposta è pressoché un sussurro, giustificato dalle emozioni e dai ricordi che quel giorno, ancora oggi, evoca in lui.

 

Fidel Castro und Ernesto "Che Guevara"

[Fidel Castro e il Che]

Il racconto. Che Guevara venne catturato dalle forze governative boliviane l’8 ottobre 1967, durante un ultimo, disperato tentativo di nascondersi in un canalone della regione del Yuro, a pochi chilometri dalla città di La Higuera, Bolivia, insieme ai pochi guerriglieri che si erano salvati dall’imboscata che l’esercito nazionale aveva teso loro poche settimane prima a Puerto Mauricio. I militari boliviani li catturarono, e quando erano in procinto di fucilarli, il Che prese parola, con strana serenità: «Non sparate, sono Ernesto Che Guevara, e penso di potervi essere più utile da vivo che da morto». Così, naturalmente, i soldati non premettero il grilletto, ma lo portarono presso una scuola di La Higuera, come prigioniero. Ora la palla passava a Langley, Virginia, quartier generale della Cia, che da lassù gestiva l’intera attività governativa boliviana di risposta alla guerriglia; ai servizi segreti americani spettava la decisione: che fare del Che? Ucciderlo subito o servirsene per il prosieguo dei combattimenti? La risposta dei servizi segreti americani non ebbe esitazioni: «Salutate il papà», frase in codice per indicare che la vita di Che Guevara era ormai giunta al termine. Ma un’ulteriore questione si poneva: come? E soprattutto, chi?

La risposta la fornisce ora Terán, che racconta di come il colonnello Joaquin Zenteno abbia convocato tre sottufficiali e quattro sergenti (fra cui lo stesso Terán) che si erano offerti volontari per il macabro compito, e fra questi scelse proprio Mario. La decisione fu presa da Terán con tranquillità, come un nuovo ordine da eseguire. Nulla di più.

 

mario terna salazar,all'epoca

[Mario Terán Salazar, all'epoca]

L’uccisione di Che Guevara. Mario Terán Salazar racconta di essere entrato nella stanza in cui il Che era detenuto, e di averlo trovato seduto, tranquillo; nello stesso momento in cui Terán entrò nella stanza, Che Guevara intuì subito cosa sarebbe successo di lì a pochi istanti: «Lei è venuto ad uccidermi». In quel momento, Mario racconta di essere stato colto da un profondo imbarazzo e da una dilagante insicurezza, tali da non riuscir più a guardare Che Guevara negli occhi. Racconta Terán di come lì, in quel momento, si accorse di quanto quell’uomo, così controverso e ineffabile, fosse davvero grande; un pensiero che gli fece venire un improvviso attacco di vertigini. Il Che, vista la condizione in cui versava il suo boia, forse con sarcasmo o magari con semplice rassegnazione, disse a Terán: «Stia tranquillo, sta solo per uccidere un uomo».

Mario allora chiuse gli occhi, e scaricò la prima raffica. Terán racconta di come, ritornando a guardare, vide il Che crollato sulle gambe, del tutto martirizzate da quei primi colpi, e che versavano moltissimo sangue. Quella vista infuse un po’ più di coraggio nel soldato, che procedette ad una seconda scarica di proiettili che sferzò Che Guevara su braccio, spalla e cuore, decretandone definitivamente la morte. Era l’1.53 del 9 ottobre 1967, in una scuola adibita a carcere di un piccolo paesino boliviano chiamato La Higuera.

Come riportano i cronisti spagnoli, gli istanti in cui Terán ha raccontato del momento preciso della morte del Che sono stati particolarmente, ancora oggi, toccanti per l’ex militare boliviano, che poi, all’ultima domanda su cosa pensasse, dopo tutti questi anni, della figura di Che Guevara, risponde tranquillamente e sicuro: «Per me, e per la maggior parte di noi, era solo un invasore, uno che ha infuso nel popolo boliviano strane idee di guerriglia, che assurdamente oggi viene idolatrato, dopo tutte le persone morte a causa sua».

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