Chi era Ian Paisley, morto ieri
“No surrender” (non ci arrenderemo) e “Not an inch” (non arretreremo di un pollice) sono due dei suoi slogan più famosi. A crearli fu Ian Paisaly, reverendo protestante e per 40 anni controverso esponente politico dell’Irlanda del Nord. Paisaly è morto venerdì 12 settembre all’età di 88 anni e con la sua scomparsa si chiude definitivamente il pezzo più turbolento di quella storia di violenza che per decenni ha contrapposto protestanti e cattolici. Da quando, nel 1968, scoppiarono i Troubles, Paisley è stato il punto di riferimento della linea dura protestante.
Era noto per essere anti indipendentista, anti papista, oppositore dei diritti civili. La sua avversione nei confronti dei cattolici lo portò a contestare, nel 1988, la visita di Giovanni Paolo II al Parlamento europeo, definendo Anticristo il pontefice. Era l’uomo del “no” che alla fine ha detto “sì”, come lo ha definito Gerry Adams, suo grande oppositore e leader del partito cattolico Sinn Fèin. Ian Paisley era soprannominato “Mister No” per la sua avversione a ogni forma di dialogo e trattativa con i cattolici. Fino al 2007. Dieci anni dopo l'avvio dei negoziati di pace, Paisley, leader di quella maggioranza protestante fedele alla Gran Bretagna, e Martin McGuinness, ex capo militare dei guerriglieri dell’Ira, nonché vicecapo della minoranza cattolica che rivendicava il ricongiungimento con l'Irlanda, siglarono infatti uno storico accordo per la creazione di un governo congiunto. 6 ministri protestanti e 4 cattolici, con Paisley premier del governo autonomo della regione. Due ex falchi delle opposte fazioni trasformatisi in colombe, che hanno segnato la strada per la pace.
La vicenda di Paisley è legata indissolubilmente alle guerra civile e poi al processo di pace del Nord Irlanda. Insomma a tutta la storia recente di quella tribolata terra. Il suo nome appare nelle cronache dal 1968 quando tutto iniziò a Derry. La Marcia per i diritti civili nel quartiere cattolico di Bogside finì nel sangue. I parà britannici spararono sulla folla inerme causando la morte di 13 persone. Era il 30 gennaio 1972, una domenica diventata tristemente famosa e ribattezzata Bloody Sunday.
Fu Paisley a farsi notare nel cercare di giustificare quella strage e le violenze settarie che ne seguirono ad opera dei gruppi paramilitari protestanti. Difensore di cause perse e di assassini conclamati, le sue prediche dal pulpito domenicale infiammavano gli animi dei duri filo britannici, che temevano di perdere i privilegi che la Corona inglese da secoli conferiva loro. La sua presenza alle parate orangiste, le logge massoniche dell’Ordine Orange nelle quali si radunavano i discendenti dei pionieri inglesi, era la più applaudita. A lui facevano riferimento i gruppi paramilitari protestanti UDF e UVF che con bombe e attentati cercavano di intimorire la minoranza cattolica difesa, armi alla mano, dall’Ira, l’Irish Repubblican Army, le milizie paramilitari cattoliche di cui Paisley per anni è stato un obiettivo, tanto che era costretto a vivere sotto scorta.
Con il passare degli anni, l’evoluzione politica, il moltiplicarsi di morti e lutti in una guerra civile sempre più senza speranza per vittime e carnefici, hanno smorzato l’irruenza bellicista di Paisley, diventato dapprima interlocutore politico del mondo filo britannico che in precedenza lo teneva ai margini, e poi interlocutore dei nemici cattolici. Un’evoluzione che lo ha visto partecipare alle trattative per gli accodi del Venerdì Santo che diedero il via libera agli accordi di pace. Un passaggio che lo ha portato a diventare il numero uno a Stormont (il luogo dove da sempre risiede il potere politico a Belfast). Scelta che lo ha reso inviso alle frange estremiste protestanti, ma che lo ha posto al rango di politico di razza, cinico e tuttavia realista.
L'assidua frequentazione degli esponenti del Sinn Fein ha reso Paisley affidabile partner e poi anche stimato interlocutore dei nemici di un tempo. Non a caso Gerry Adams e Martin Mc Guinness (entrambi ex capi militari dell’Ira e in seguito guide politiche per i cattolici del Nord Irlanda) lo piangono oggi come un amico. La sua grande forza è stata nell’essere passato da peggiore dei nemici a miglior amico dei suoi avversari. Un percorso travagliato costato la vita a migliaia di persone. Almeno tremila.