«Perché tra i popoli non vi sia più odio»

Esperanto, quando e come è nato Oggi che è la festa del suo creatore

Esperanto, quando e come è nato Oggi che è la festa del suo creatore
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Oggi si festeggia il Dottor Zamenhof, colui che per primo al mondo parlò l’esperanto e che però rifiutò la candidatura al Nobel per la Pace, sostenendo che l’esperanto non fosse suo ma appartenesse a chi lo parlava. Ma facciamo un passo alla volta.

Un barlume di speranza. A differenza di quello che comunemente si crede, la sua origine risale alla fine del 1800 (precisamente al 1887), quando venne pubblicata a Varsavia la prima grammatica della lingua internazionale. L’autore era un oculista polacco, Ludwik Zamenhof – appunto –, che però si firmò con lo pseudonimo di Dr. Esperanto, ovvero “colui che ha speranza” , dacché si auspicava – sperava – che il suo progetto potesse avere successo. Innanzitutto per l’idea che lo alimentava: «Quando i popoli si comprenderanno cesseranno di detestarsi».

 

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Zamenhof e il primo esperanto. Nato nel 1957 in un paese della Polonia, in una modesta famiglia di origine ebrea, fin da piccolissimo entra in contatto con il polacco e con il russo, le due lingue che utilizza quotidianamente; intanto, il padre gli insegna l’ebraico e al ginnasio apprende il greco antico, il latino, l’inglese, il francese e il tedesco.

La sua esperienza lo rende così consapevole delle difficoltà che si incontrano nell’imparare una lingua straniera e, allo stesso tempo, testimone di una società in cui diverse comunità linguistiche coesistono senza riuscire a comprendersi. Così, nella sua mente si fa strada l’idea, un po’ ottocentesco, di creare uno strumento linguistico semplice, condivisibile da tutti, funzionale al superamento delle incomprensioni. Inizia a lavorare all’esperanto.

La lunga opera di scomposizione e riassemblaggio delle lingue occupa tutta la sua giovinezza e, nonostante le difficoltà (si legge nella sua biografia che il padre distrusse i suoi appunti), finalmente appare il primo libro, nel 1887. Il progetto ha una notevole diffusione in tutta Europa, sia tra gli intellettuali sia tra le gente comune: incomincia a crearsi il movimento esperantista.

 

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Il movimento esperantista. Nel 1905, gli “addetti ai lavori” si ritrovano in Francia, per fare il punto della situazione; è il primo Congresso universale di esperanto. Il successo è stupefacente: i partecipanti sono più di 700, provenienti da oltre 20 Paesi. La lingua creata da Zamenhof funziona.

Oggi, a distanza di un secolo, è abbastanza difficile dare una stima ufficiale di quanti parlanti esistano al mondo, ma, secondo una ricerca autorevole dell’Università di Washington, circa un milione e mezzo di persone parla esperanto a un livello superiore. Ma il dato più interessante lo fornisce la rivista Ethnologue, che conta fino a 2000 parlanti madrelingua, ovvero persone che hanno appreso la lingua dai genitori fin dalla nascita. Le stime sembrano confermate da dati statistici sull’uso di alcuni siti web esperantisti. Sta di fatto che al Congresso universale d’esperanto, che si tiene ogni anno, s’incontrano circa 3000 esperantisti provenienti da tutto il mondo. E non servono traduttori.

E Bergamo? La sezione territoriale bergamasca, intitolata a Costantino Palmerini, era già attiva negli anni Ottanta e venne registrata ufficialmente nel 1992. Oggi conta circa 20 iscritti, fra esperantisti e simpatizzanti. Il centro, che ha trovato la sua sede grazie agli spazi concessi dalla biblioteca comunale di Verdello, conserva anche un angolo dedicato alla letteratura in e sull’esperanto.

 

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L’esperanto è vivo? In esperanto, oggi, si canta, si scrive si fa teatro. Durante gli anni, infatti, sono fiorite varie attività culturali legate a questa lingua: ci sono, ad esempio, web radio che trasmettono contenuti unicamente nella lingua internazionale. Per non parlare delle riviste di letteratura: se ne contano a decine in tutto il mondo e trattano sia di letteratura in lingua (esiste anche un prestigioso premio letterario) sia di letteratura in traduzione; praticamente tutte le maggiori opere letterarie sono apparse nella lingua internazionale, dalla Bibbia alla Divina Commedia.

Certo, non è andata come sperava Zamenhof, ma nonostante tutto non si può dire che l’esperanto abbia fallito se oggi, dopo più di un secolo, si parla e se ne parla ancora. Se ancora oggi migliaia di persone nel mondo si possono incontrare e raccontarsi qualcosa. Poco importa, in realtà, se non è diventata la lingua franca che i primi esperantisti hanno immaginato, la lingua transnazionale che avrebbe dovuto permettere a tutti di comprendersi senza discriminazione. Perché rimane, ad ogni modo, una creazione ammirevole di una mente brillante di fine Ottocento. Nonché l’unica lingua pianificata a essere sopravvissuta.

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