A Ettore Scola, che ci ha insegnato come si ama e come non si ama più
È morto Ettore Scola. E per quanto sia nella natura delle cose che il cuore di un signore di 84 si stanchi di funzionare, è una notizia che ci lascia tutti più tristi e più soli. Tutti chi? Tutti quelli che professano il culto dei suoi dialoghi e tutti gli altri che non sanno di esserci dentro. Perché Ettore Scola non era un qualunque signore di 84 anni: era un signore che – detto senza iperboli, ché di iperboli un signore così non ne ha proprio bisogno – da una colazione al bar, da un giro in autobus, da uno sguardo ai cantieri, da un turno dal medico, sarebbe ancora stato capace di tirar fuori la sceneggiatura della storia di un intero paese, se avesse ancora voluto mischiarsi alle nostre piccole sciagure. Com’era già stato capace di spiegarci, facendo ricorso ai più rilevanti attori del suo tempo – un tempo in cui semplicemente esisteva uno star-system italiano –, di spiegarci come si cresce, come si invecchia, come si ama, e pure come non si ama più.
Sandrelli, Mastroianni, Manfredi, Vitti, Satta Flores, Tognazzi, Gassman, Giannini sono stati protagonisti – i più celebri, e spesso ricorrenti – di tutte le possibili combinazioni con cui si possono dire le relazioni umane. Vale la pena ricordarli in qualcuna tra le scene più memorabili dei film di Scola e passare il resto della giornata a rivedere un capolavoro – un termine sgradito al Maestro… e sgradito anche questo – dopo l’altro, cercando di capire se nel frattempo è cambiato qualcosa o ci immedesimiamo ancora nello stesso personaggio.
In C’eravamo tanto amati, per esempio, ancora non è chiaro chi conveniva essere: sarebbe certo stato scomodissimo essere Gianni Perego (Vittorio Gassman), l’avvocato che per fare carriera s’era contentato di ammogliarsi con la figlia dell’arricchito palazzinaro (lo spettacolare Aldo Fabrizi di: «E io nun moro!»), quando incontra dopo mezzo secolo Luciana (Stefania Sandrelli), la cotta a cui aveva dovuto rinunciare, la ragazza che dopo aver pianto tutte le lacrime che c’erano da piangere, tentato suicidio compreso, s’era accasata con Antonio (Nino Manfredi), l’amico di Gianni rimasto gioiosamente povero. Gianni guarda Luciana come se tutti quegli anni non fossero mai passati, si scusa per non essere andato a trovarla quando lei aveva preso quelle pillole, le dice quanto l’amava e che anche dopo, per tutti quegli anni, non aveva fatto altro che. E lei gli risponde come dovremmo – e non siamo mai abbastanza forti per – rispondere agli amori che fanno dei giri immensi e poi ritornano. Gli risponde ridendo, con un’aria così svagata da sembrare crudele: «Eh, ma io no».
Non conveniva essere Gassman contro la Sandrelli nemmeno ne La terrazza, dov’erano lui un deputato del Pci, sposato, e lei la donna, altrettanto sposata, di cui, in preda all’andropausa, s’innamorava. Sì, lei gli aveva chiesto di scegliere «o me, o tua moglie» e lui sembrava quello combattuto – tanto che aveva sottoposto i suoi turbamenti in un’assemblea di partito, come sa rendersi ridicolo solo l’uomo nel bel mezzo della crisi di mezza età.
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Ma quando lei raggiunge alla stazione lui che, dovendo partire per Milano, le aveva scritto una lettera d’addio (un citofonatissimo addio, un addio così convinto che specifica l’ora di partenza del treno e il binario) lunga almeno nove pagine, lo vediamo in tutta la sua tenacia, l’amore ai tempi dell’andropausa: lui promette di scriverle un’altra lettera e lei di nuovo, con feroce levità: «No, lascia stare, magari mi rileggo questa».
E se parliamo delle asimmetrie dell’amore, e di tutte le sue altre geometrie, non possiamo non scomodare il triangolo di Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca), l’essenza del quale è riassunta in quella scena in cui Monica Vitti è dallo psichiatra e gli racconta della sua incapacità di scegliere tra due uomini che insieme fanno l’uomo perfetto: «Ma di che natura è il mio male? Ho avuto un trauma? Sono sotto choc? È un disturbo neurovegetativo? O è perché sono mignotta?». «Lasci stare i termini scientifici», le risponde il dottore, «Lei si ritiene un caso unico e disperato, invece, amando due uomini, lei, oggi come oggi, è al di sotto della media».
Ecco, questo era (in parte) Ettore Scola. Che il suo cuore si sia stancato di funzionare è nella natura delle cose. Come lo è il fatto che sullo sfondo delle nostre piccole sciagure ci sia oggi un’Italia diversa. Ma oggi è un giorno in cui la nostalgia non si rimprovera. Perché – detto senza iperboli – di signori così non ne nascono più.