La Francia ignora il bicentenario

Fateci caso, la battaglia di Waterloo si sta combattendo ancora

Fateci caso, la battaglia di Waterloo si sta combattendo ancora
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Fortunatamente esiste l’umorismo. L’unico modo - in più occasioni - per affrontare le vicende del mondo. A Waterloo - nelle Fiandre; distante da Bruxelles esattamente come Cologno al Serio da Bergamo - il 18 giugno di duecento anni fa un esercito composito di forze continentali europee più la Gran Bretagna sconfisse Napoleone Bonaparte autoproclamatosi imperatore dei Francesi. Per il Grande Còrso (Napoleone era nato ad Ajaccio) fu la fine. Un mese dopo - 15 luglio - a Rochefort, nel Golfo di Biscaglia, si sarebbe consegnato al comandante Frederick Lewis Maitland a bordo del Bellerophon. Condotto a Plymouth, venne trasferito sulla nave da battaglia Northumberland per esser portato in esilio all'isola di Sant’Elena, nell’Atlantico. Vi sarebbe morto sei anni dopo, 5 maggio 1821. Ei fu.

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Troops march through a field during a re-enactment of the 1815 Battle of Waterloo in Waterloo, Belgium on Sunday, June 20, 2010. The Battle of Waterloo is seen as one of the greatest battles in European history, the final confrontation between France and the rest of Europe, marking the fall of Napoleon and opening the way towards a new era of peace in Europe. (AP Photo/Virginia Mayo)

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Adesso gli Europei vorrebbero coniare una moneta da due euro in ricordo della battaglia e si stupiscono che la Francia si opponga. Hanno indetto festeggiamenti faraonici con tanto di teste coronate prelevate da tutta Europa e manifestazioni scenografiche in costume e non capiscono come mai l’Eliseo - cioè il Quirinale sulle rive della Senna - faccia finta di non saperne niente. Persino gli Americani hanno ritenuto inopportuno invitare i Giapponesi alla festa in ricordo della battaglia delle Filippine o all’inaugurazione di un monumento a MacArthur. Bisognava dunque tener conto del fatto che i Francesi non sono ancora in grado di chiudere i conti una volta per tutte con Napoleone. Gli converrebbe farlo, ha scritto René Girard, «Non in maniera vergognosa, come quando si è rinunciato a commemorare il bicentenario di Austerlitz, mentre ci rechiamo in pompa magna alla commemorazione di Trafalgar!» Si ricorderà che Austerlitz - nei pressi di Brno, in Repubblica Ceca - è il nome di una grande vittoria napoleonica; Trafalgar - 50 km a sud di Cadice, sulla costa atlantica della Spagna - quello di una cocente sconfitta navale, sempre ad opera degli inglesi, che la ricordano con una famosa piazza londinese. Come dire: noi francesi continuiamo a sbagliare tutto. Stavolta, almeno, non si sono presentati ed è già qualcosa. Ciò non significa che tutto fili liscio, perché «Continuare a fare di Napoleone un feticcio, senza analizzare davvero le ragioni del culto del quale è oggetto significa condannare la Francia [...] a ripiegarsi a sua volta sui suoi contrasti intestini». Ed è appunto quello che sta avvenendo dentro e fuori la famiglia Le Pen. Tanto basta per accennare al fatto che Waterloo non si è ancora conclusa e che con un Paese sulla terraferma che si rifiutò in un primo momento di entrare in Europa e un altro sull’isola che minaccia un referendum per uscirne i sommovimenti continentali sono ben lungi da trovare un assestamento.

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Ma come andò davvero in quel lontano giorno di giugno, in quella pianura ondulata e acquitrinosa attualmente sconvolta da un’insensata piramide di terra - corredata di leone sulla cima e ripida scalinata per accedervi - eretta a perenne memoria della battaglia che cambiò per sempre le sorti dell’Europa? Andò che i Francesi stavano vincendo ma che alla fine arrivarono i Prussiani del Generale Blücher che li presero d’infilata e non ci fu niente da fare: Wellington, il comandante inglese a capo della coalizione, poteva esultare. Napoleone aveva già sconfitto Blücher a Jena e lo aveva anche catturato. Waterloo fu la sua vendetta. Sulla battaglia in sé si è scritto di tutto. Victor Hugo - il grande poeta francese - si inventò addirittura la presenza di un fossato non segnalato sulle carte per giustificare il disastro. Altri hanno fatto ricorso a una notte trascorsa dall’imperatore in modo piuttosto agitato a causa di un fastidioso attacco di emorroidi. Altri ancora hanno individuato nel ritardo con cui la battaglia ebbe inizio la ragione del risultato finale: se fosse incominciata prima Blücher non avrebbe fatto in tempo ad arrivare. Ma la notte prima aveva piovuto forte e l’artiglieria da campagna non poteva muoversi sul terreno fradicio d’acqua (water-loo). E Napoleone sapeva che per poter vincere aveva bisogno di cannoni mobili ed efficienti. Adesso poi c’è la piramide col leone a rendere impossibile la ricostruzione topografica degli eventi e quindi il rebus è diventato ancor più complicato, anche se, a grandi linee, il quadro risulta chiaro: per quanto dolorante l’Empereur stava vincendo, poi arrivò il prussiano deciso a vendicarsi. A sconfiggere il vincitore di Austerlitz fu la tempistica dovuta alle condizioni meteo che avevano reso il campo impraticabile. In loco c’è anche un museo con tutti i reperti e un altro con una sala cinematografica in cui vengono proiettati docufilm scientificamente a prova di falsificazione. Un ampio riassunto dell’andamento delle ostilità si trova alla voce “Battaglia di Waterloo” su wikipedia e alle voci “Arthur Wellesley, I duca di Wellington” e “Gebhard Leberecht von Blücher” della medesima enciclopedia. Il fatto che al Duca trionfatore sia stata dedicata nientemeno che una città all’altro capo del mondo (Wellington è la capitale della Nuova Zelanda) la dice lunga sull’esultanza inglese. Il fatto che “waterloo” significhi in tutto il resto del mondo “sconfitta disastrosa” dice invece che a stupire la terra intera non fu la vittoria di generali complessivamente mediocri ma la sconfitta di chi era stato chiamato, dai suoi stessi nemici - von Clausewitz prima d’ogni altro - il dio della guerra.   Charge_des_lanciers_de_la_Garde_à_Waterloo_(détail_du_Panorama_de_Waterloo)

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