È morto all'età di 92 anni

Cinque film per dire addio al coraggio di Francesco Rosi

Cinque film per dire addio al coraggio di Francesco Rosi
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Se tutti i registi americani ammirano il cinema italiano del passato e lo imparano sui banchi di scuola è perché i nostri autori sono stati in grado di raccontare con forza la realtà in modo rivoluzionario. Fra i più recenti interpreti di questa linea di ripresa c’è senza dubbio Francesco Rosi, scomparso sabato 10 gennaio all’età di 92 anni. Un regista che ha fatto la storia del nostro cinema per intere generazioni, raccontando con coraggio vicende attuali e realistiche, proprio nel momento in cui si svolgevano.

Lavorando fianco a fianco con i grandi maestri (Luchino Visconti su tutti), Rosi è stato anche sceneggiatore di talento, curando il testo di quel capolavoro drammatico e profondamente vero che è Bellissima, denuncia impietosa di Visconti del mondo dello spettacolo e dei suoi meccanismi perversi. È però dopo il suo debutto alla regia che Rosi ha mostrato i prodotti migliori, sempre sulla base di uno stile sincero, per mostrare agli spettatori i lati oscuri di un Italia che, forse, non erano ancora pronti a vedere.

Nel giorno della sua scomparsa proponiamo una rosa di cinque suoi film, per raccontare di nuovo – insieme al suo occhio attento e intelligente – la storia di un Paese che, oggi più che mai, sembra aver bisogno di interpreti coraggiosi e capaci di osservare ciò che circonda fra le pieghe della realtà.

 

Fra i primi lavori di Rosi, il più notevole è senza dubbio Le mani sulla città (1963), che, in un periodo in cui praticamente nessuno aveva ancora avuto il coraggio di mettere in luce le ombre della società italiana, riesce a portarsi a casa il Leone d’Oro a Venezia. La didascalia del film («I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce») chiarisce in modo fin troppo evidente come la storia messa in scena da Rosi sia del tutto reale: personaggi immaginari si muovono in uno scenario che ancora oggi appare attualissimo: non è un caso che in occasione delle indagini su Mafia Capitale degli ultimi mesi, molti media abbiano richiamato proprio questa pellicola. Senza remissioni, Rosi mette in scena una tragica vicenda di morte e speculazione edilizia nella Napoli dei suoi giorni: il crollo di un palazzo fa aprire un’inchiesta sulla legittimità di alcuni cantieri e questo scoperchia il vaso di Pandora della speculazione edilizia e della corruzione generalizzata. Un film forse profetico per gli sviluppi successivi della storia italiana, in cui le tangenti, il rapporto Stato-mafia e le attività illecite dei potenti sono sempre in primo piano nella cronaca. Non c’è forse film più impegnato di Le mani sulla città, un manifesto di realismo e poetica che ancora oggi dovrebbe fare scuola, per registi e cittadini.

 

Il discorso si approfondisce, illuminando però il passato, nel successivo Uomini contro (1970). A partire dal romanzo Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu, Rosi realizza un film corale, in cui i soldati della Prima Guerra Mondiale diventano pedine di uno sterile gioco al massacro, costretti dai vertici a lasciarsi uccidere. Tutto il film è girato sottolineando la visione pacifista del suo autore e la profonda critica alla natura sciocca di tutti i conflitti armati. Molti i riferimenti, spesso palesi, al capolavoro di Kubrick Orizzonti di gloria, simile per impostazione e volontà di sensibilizzazione del pubblico. Su tutte va ricordata la scena quasi surreale dei soldati mandati a compiere una sortita indossando delle pesanti e inutili corazze protettive, che hanno come unico risultato quello di facilitare la loro uccisione. Un film crudo, malinconico e senza soluzione. Vero manifesto del pensiero di Rosi.

 

Cristo si è fermato ad Eboli (1979) è forse il film più famoso di Rosi, scritto a partire dall’omonimo romanzo di Carlo Levi e con uno straordinario Gian Maria Volonté nel ruolo di protagonista. Ancora una volta è la storia a dominare la scena: un medico-pittore, scomodo per il regime fascista, viene mandato al confino a Eboli, paesello del Meridione dimenticato da Dio. Dopo aver vissuto sempre in città, il protagonista si ritrova asfissiato da un ambiente che non sembra lasciargli possibilità di fuga, ma proprio nel momento in cui tutto sembra perduto egli comincia, senza una spiegazione, a interessarsi e appassionarsi a quel posto, così lontano e diverso da lui. I personaggi di Eboli, raccontati da Rosi come macchiette spesso ridicole ma con grande attenzione ai dettagli della loro vicenda umana, diventano i personaggi tragicomici di una tragedia che coinvolge tutta l’Italia. Anche se alla fine il protagonista (modellato sull’esperienza autobiografica di Carlo Levi) avrà il permesso di tornare a casa, il ricordo di quel posto abbandonato da Dio gli rimarrà nel cuore per sempre. Senza dubbio uno dei film più sentimentali e ottimisti di Rosi; certamente non uno dei migliori, ma quello in cui si legge meglio la sua fede nel prossimo, l’ottimismo e la fiducia nelle persone semplici, che possono realmente cambiare il mondo.

 

http://youtu.be/KahJ8E4DPVs?t=13m24s

Sarà ancora Volonté a far da protagonista ad un altro notevole film del regista, Cronaca di una morte annunciata (1987), che vede la partecipazione di Ornella Muti, Lucia Bosè e Rupert Everett fra gli altri. Ancora una volta è un trauma a dare il via alla vicenda: un tragico delitto che ha luogo in un villaggio. Tutti se lo aspettano, tutti sanno che succederà, ma nessuno agisce: la passività è complice dell’omicidio, sembra dirci anche in questo caso Rosi, acceso da una moralità mai venuta meno nel corso della sua lunga vita. Cristof Bedoya, nome del protagonista, ritorna, ormai anziano, nel suo villaggio natale e, nell’affollarsi di ricordi che sembravano spariti, cerca di ricostruire la dinamica di quel tragico delitto. Ma non c’è possibilità di scoprire la verità e tutti coloro che sembrerebbero colpevoli finiscono per non esserlo con assoluta certezza. Un film di estrema raffinatezza che, anche se in un ambiente lontano dall’Italia, ci parla a chiare lettere della necessità di ognuno di assumersi le proprie responsabilità nel doloroso processo di ricerca della verità.

 

http://youtu.be/Q4GCgpnKrhw

È il 1997 quando Rosi riprende il testo-capolavoro di Primo Levi La Tregua e ne realizza un film. L’apertura del film riporta in immagine il più grande shock del XX secolo, il trauma dei soldati russi che arrivano ad Auschwitz, ormai semidistrutta dalla fuga nazista, e si trovano davanti il barbaro spettacolo della morte. John Turturro, che qui interpreta lo scrittore superstite al lager, ripercorre il lungo viaggio di ritorno che Levi fa dalla Germania all’Italia dopo la sua liberazione. Un film complesso, che riesce a coniugare la poesia e il linguaggio evocativo del libro di Levi con una raffinata tecnica cinematografica, a comporre un prodotto di grande successo e qualità che – con la sua semplice raffinatezza – ha fatto guadagnare a Rosi diversi premi e nomination.

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