Addio a Mike Nichols

Quattro film per omaggiare il regista de "Il Laureato"

Quattro film per omaggiare il regista de "Il Laureato"
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Il 2014 sembra essere un anno sfortunato per la storia del cinema. Al novero degli interpreti e registi scomparsi negli ultimi tempi si aggiunge oggi quello di Mike Nichols, regista di origini ebraiche nato a Berlino e divenuto celebre negli USA per alcuni film di grande pregio in cui, con simpatia ma senza abbandonare una certa vena critica nei confronti della società, ha saputo accompagnare una generazione di spettatori dalla prima età adulta sino alla maturità. Pur non essendosi proposto dietro la macchina da presa da circa dieci anni, Nichols è riuscito a realizzare dei film di grande successo critico e di pubblico, unendo una ricercatezza linguistica a una grande capacità di rimanere a contatto con i gusti degli spettatori.

 

Il suo debutto avviene piuttosto tardi. Ha già trentacinque anni quando confeziona Chi ha paura di Virginia Woolf? (1966), vero e proprio film di culto. A partire da un dramma di Albee, il film racconta il difficile tentativo di convivenza fra un professore di storia e la propria moglie isterica e parzialmente consumata dall’alcool. Le loro liti paradossali finiranno per coinvolgere anche una coppia di ignari ospiti. Un film ben fatto che risente del passato teatrale di Nichols. Un piccolo aneddoto: il titolo originale Chi ha paura del lupo cattivo? gioca tutto sull’assonanza inglese fra il termine per indicare l’animale (wolf) e il cognome della celebre autrice che presta la sua figura alla vicenda (Woolf). Film coraggioso, fu uno dei titoli che riuscirono a rendere meno bigotto il cinema americano, troppo spesso inutilmente puritano.

 

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Il capolavoro di Nichols arriva però poco dopo. Il laureato (1967), è il film che segna l’inizio della notorietà di Dustin Hoffman e un vero e proprio capolavoro generazionale. La pellicola racconta con grande ironia e sensibilità il dramma di un giovane neolaureato a pieni voti che, un po’ per caso, un po’ senza motivo, è turbato dal mondo e dalla vita. Nonostante i suoi tentativi, che danno corpo a una delle più celebri sequenze della storia del cinema, d’avere relazioni con altre persone (in particolare donne), rimane sempre un discrimine di incomunicabilità a separarlo dal resto del mondo. Una storia drammatica, dunque, ma alleggerita da Nichols grazie a una ironia, che evita di rendere la storia un’analisi pedante della psicologia giovanile. Alla fine, nonostante quello che il film sembra suggerire, non c’è un lieto fine a incorniciare la vicenda e rimane solo il sorriso amaro di un’occasione perduta, di un tentativo sempre destinato a fallire.

 

Più impegnato è il successivo Comma 22 (1970), profondamente permeato di un’idea antimilitarista. Sono gli anni della contestazione giovanile e della guerra del Vietnam e Nichols, attento osservatore del mondo attorno a lui, non può fare a meno di dire la propria anche su tematiche tanto scottanti e attuali. Il film si avvale di un cast assolutamente eccezionale: come non ricordare Orson Welles, il mostro sacro del cinema moderno, un contestatore per eccellenza all’interno dell’industria cinematografica americana. Accanto a lui fa la sua comparsa anche Anthony Perkins, il protagonista del meraviglioso Psycho di Alfred Hitchcock. Il film, di grande successo anche se non un capolavoro come i precedenti, risulta essere uno dei migliori prodotti contro le problematiche etiche della guerra, vista come un atto inumano e folle in cui gli ufficiali giocano al massacro con i soldati, impotenti e costretti a sacrificare la propria vita. Uno dei migliori sul tema, assieme a Full metal Jacket del maestro Kubrick.

 

Le tematiche socialmente impegnate sono riprese anche in un altro film del 1984, forse meno noto in Italia. Silkwood vede come protagonista una eccezionale Meryl Streep che porta sullo schermo la vicenda di una donna americana, Silkwood, appunto. Premiatissimo, il film valse un discreto numero di Oscar per la bellezza narrativa e per la grande umanità della storia raccontata. Forse non perfetta dal punto di vista dello stile, la pellicola comunque colpisce per la sua grande sensibilità: Silkwood è un’operaia e sindacalista entro una fabbrica di materiale radioattivo, che raccoglie prove e indizi sui problemi della struttura di produzione, a beneficio dei colleghi e dell’opinione pubblica. Dopo un lungo e difficile processo per mettere a punto un insieme di testimonianze valide in sede di processo, Silkwood muore in un misterioso incidente, che il film non spiega ma per il quale aleggia in maniera forte il sospetto del complotto ordito dai magnati dell’industria. Rispetto a tante altre storie del genere, che negli anni Ottanta hanno riempito le sale di tutto il mondo e hanno fatto piangere milioni di spettatori, Silkwood rimane impresso maggiormente per la grandissima prova attoriale proposta da Meryl Streep, qui decisamente al massimo della forma.

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