Giorgio, lo stezzanese che ha visto l’immensità di quelle macerie

Quando è arrivata la telefonata del caposquadra della croce rossa per testare la sua disponibilità a recarsi a Genova come volontario per soccorrere le vittime del crollo del ponte Morandi, Giorgio Guidi stava lavorando alla Centax Telecom di Bergamo dove si occupa di sviluppare software. Non c’è stato il tempo nemmeno di pensare: doveva partire subito. Il suo sguardo ha incrociato quello del suo capo e con voce spezzata dalla concitazione gli ha chiesto: «Posso andare?». Ottenuto l’ok, Guidi, 23 anni, addestrato per il Soccorso con mezzi e tecniche speciali della Croce rossa italiana, ha preso mezza giornata di ferie e si è diretto in tutta fretta a casa, a Stezzano, per prendere il suo zaino che deve sempre essere pronto per le emergenze. Accanto c’era un’altra borsa, quella che aveva preparato per la gita fuori porta. Doveva trascorrere il Ferragosto a casa di un amico in Veneto, ma il destino ha voluto diversamente.
Alle 15 di martedì 14 agosto, Giorgio e la fidanzata Nicole Beretta, anche lei volontaria, hanno raggiunto Bresso, nel milanese, per fare il punto della situazione insieme ad altri 9 operatori provenienti da tutta la Lombardia. «Abbiamo stipato il materiale in due fuoristrada e siamo partiti alla volta di Genova – racconta Giorgio – Siamo arrivati alle 17.30 del 14 agosto, ci siamo divisi in squadre e abbiamo operato sul posto fino al giorno successivo. Sono tornato a casa alle 21.30 di Ferragosto e il 16 mattina ero nuovamente al lavoro».
Che scenario ha trovato quando è giunto a Genova?
«Guardando le immagini trasmesse in televisione non si ha mai la percezione effettiva della portata dell’evento, vedere dal vivo l’immensità di questo ponte crollato è stato davvero devastante. Mi ha fatto impressione la grandezza delle macerie, la dimensione di quegli enormi blocchi di cemento armato che venivano demoliti dai vigili del fuoco con i martelli pneumatici e le ruspe che spostavano senza sosta i detriti».
Che sensazioni le sono rimaste impresse nella mente?
«Ripensandoci, mi torna in mente il rumore degli elicotteri, il brusio delle persone, il caldo sotto la divisa. Era una situazione molto caotica a cui bisognava mettere ordine. Ci siamo preparati e ci siamo interfacciati con i Vigili del Fuoco che gestivano i soccorsi e siamo entrati nella zona rossa, all’interno c’erano anche alcuni medici, noi avevamo il compito di aiutare nell’estrazione dei corpi».
Quanto è difficile avere sangue freddo in queste situazioni?
«In generale, quando si opera in scenari di emergenza le emozioni vengono messe da parte, bisogna avere sangue freddo e tanta concentrazione. A Genova sapevamo cosa fare, le tante ore di addestramento che facciamo servono proprio a prepararci a ciò che dovremo affrontare nelle emergenze reali. Nei primi tempi l’adrenalina spinge il corpo ad agire a flusso continuo, solo quando sono tornato a casa e ho ripensato all’accaduto mi sono reso conto di quello che è successo».
Giorgio (in primo piano) nel 2015
Cosa ha provato quando ha estratto i corpi delle vittime sepolte sotto le macerie? Non ha avuto paura nemmeno per un momento di lasciarsi trasportare dall’emotività?
«Recuperare un cadavere non è una sensazione piacevole. Per i primissimi soccorsi erano già intervenuti i nostri colleghi liguri, quindi quando siamo arrivati noi sapevamo già che la situazione era critica e che le speranze di trovare persone vive erano scarse, ma la coesione tra il nostro gruppo è molto forte, se crollo trovo la spalla del mio compagno e viceversa, questo ci dà la forza per affrontare le situazioni difficili».
Neanche il tempo di dormire, quindi?
«In verità io ho dormito da mezzanotte alle 3, poi ho dato il cambio a un’altra squadra. Il riposo è necessario anche in queste situazioni per non essere disattenti o inefficienti in un luogo pieno di pericoli. Abbiamo dormito sui mezzi parcheggiati nel campo con i...»