Il transistor ha festeggiato 60 anni

Il giorno in cui il silenzio morì (quando inventarono la radiolina)

Il giorno in cui il silenzio morì  (quando inventarono la radiolina)
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A metà maggio del 1954 la Guerra d’Indocina si concluse col disastro di Dien Bien Phu. Le truppe francesi dovettero abbandonare il Golfo del Tonchino con la coda tra le gambe. L’Europa tutta stava perdendo colpi e le potenze asiatiche - in particolare il Giappone umiliato - muovevano i primi passi della loro inarrestabile espansione commerciale nel mondo.

E iniziò - contemporaneamente - la fine della pace per le orecchie di ogni uomo che, fino a quel momento, avesse desiderato immergersi nella natura per ascoltare il melodioso canto degli uccelli, camminare lungo la riva del mare cullato dal respiro delle onde sulla spiaggia, sedersi per seguire lo spettacolo capriccioso delle nuvole nel vento: era nato “il transistor” e Sony ne fu il profeta o, come si usa dire oggi nella Sylicon Valley, the evangelist. “Transistor”, a quel tempo, voleva dire - per tutti - “radiolina”, ossia un apparecchietto portatile - caricato a pile - in grado di sintonizzarsi sulle frequenze radio della zona ed emettere suono a volontà dalla mattina presto fino a notte inoltrata. In altre parole: sempre. E, soprattutto, dovunque. È una storia, quella del transistor, che racchiude in sé la storia del mondo nel secolo scorso.

All’origine c’è un fisico austro-ungarico, ebreo e ucraino (era nato a Lemberg, l’attuale Lviv) che studiò a Lipsia (in Germania) e poi decise di emigrare in NordAmerica dove era più sicuro di poter brevettare le sue invenzioni. Si chiamava Julius Edgar Lilienfeld, era nato il 18 aprile del 1882 e morirà il 28 agosto del 1963.
Fu lui ad inventare - in Canada, nel 1925 - il transconductance-varistor, ossia il dispositivo che avrebbe mutato il mondo delle radio e degli altri apparecchi usati per diffondere suoni, parole e musica fino alla fine del secolo. Si dimenticò - però - di brevettarlo (o forse non aveva i soldi necessari per farlo) e così nove anni dopo (1934) il tedesco Oskar Heil poté affermare - presentando un dispositivo che se non era la copia esatta dell’altro tuttavia gli somigliava molto - di esserne lui l’inventore.

Il vantaggio del transistor consisteva nel fatto di ridurre drasticamente peso e dimensioni degli apparecchi (radio, grammofoni, giradischi) su cui poteva esser montato, perché permetteva di fare a meno delle voluminose valvole che, fino ad allora, erano necessarie per il loro funzionamento. In più - e soprattutto questo fu l’elemento che ne propiziò la diffusione planetaria - riduceva in maniera impensabile fino ad allora la quantità di energia necessaria a farli funzionare.
Le vecchie valvole - specie di lampadine con un filamento arancione che ci mettevano un sacco ad andare a regime e poi scaldavano come un motore da corsa - necessitavano di un attacco alla rete domestica. I transistor no, gli bastavano una o due pile di quegli anni - che avevano un’efficienza decisamente inferiore a quelle di adesso - e entravano immediatamente in pista, per così dire. Non si doveva nemmeno aspettare qualche secondo dopo l’accensione per sentire quel che si voleva sentire: aprivi l’interruttore e quello suonava. Ma questa è già storia di qualche anno dopo, quando tutti giravano già col loro apparecchietto appoggiato da qualche parte: comodino, telo da mare, tovaglia del picnic.

Prima di questo c'era stato un altro episodio interessante. Due società americane (la Bell - che anni prima aveva scippato al nostro Meucci il brevetto del telefono - e la Texas Instrument) erano riuscite, ciascuna per proprio conto, a produrre una radio basata sulla nuova tecnologia. Nel 1954 il Regency TR-1 della Texas fu il primo transistor ad essere commercializzato; il Chrysler Mopar 914HR il primo - nell'anno successivo - ad esser montato su un'auto. Ma si trattava di ingegnosi apparecchi destinati a non avere storia stanti le prestazioni nettamente inferiori a quelle delle radio tradizionali. D'altro canto, ancor oggi i "giradischi" di qualità superiore impiegano le valvole "che scottano", figuriamoci allora.

Ed è a questo punto che entra in campo il signor Masura Ibuka, il fondatore della Tokyo Telecommunications Engineering Corporation (in seguito Sony) che, venuto a conoscenza - due anni prima - del fatto che il colosso americano AT&T aveva in programma di vendere il brevetto del transistor, lo acquisì con l'aiuto del governo del suo Paese, lo migliorò al punto che nessuno - se non i virtuosi dell'orecchio - sarebbe riuscito a cogliere la differenza fra un apparecchio tradizionale e i suoi scatolini portatili, e non ce ne fu più per nessuno. I giapponesi si tirarono addosso per qualche anno il marchio di "copioni" - succederà più tardi anche in campo automobilistico - ma nessuna canzone al mondo poté più fare a meno dei loro apparecchi, nessuna partita di calcio - prima dell'avvenuto della televisione - poté essere ricordata senza il gracchiare lieve e ondeggiante degli altoparlanti che occupavano metà del frontalino.

«Colpa del posto che non riceve bene», si diceva girando compulsivamente la ghiera delle frequenze e cercando di orientare l’antenna chilometrica. O forse no, il posto non c’entrava niente. Le pile, forse? Nemmeno quelle. Sta di fatto che il silenzio morì (o forse iniziò soltanto a stare poco bene), le serate in casa ascoltando la zia o la cugina al pianoforte diminuirono come la febbre con gli antibiotici, sulle spiagge si diffuse la frustrazione per non poter passare per le armi, senza processo, quei delinquenti coi loro bauli in spalla e due altoparlanti a tutto volume. Ma siamo sopravvissuti anche a prove peggiori. E oggi è giorno di festa (anche perché, dal Walkman in poi, sono venute di moda gli auricolari).

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