Grazie a te, carissimo Bud Spencer Hai preso a pugni e calci la tristezza

«Spencer perché adoravo Spencer Tracy e Bud perché bevevo la birra Budweiser». Così Carlo Pedersoli raccontava perché transitato dalla carriera di nuotatore a quella, improvvisata, di attore avesse deciso di chiamarsi Bud Spencer. Ed è con quel nome che tutti lo abbiamo amato, abbiamo visto e rivisto i suoi film, senza stancarci mai, cullandoci sempre nella sua infinita simpatia. Bud Spencer è morto ieri, chiudendo la sua vita con un semplicissimo “grazie”, come ha testimoniato chi era al suo capezzale.
È stato un mito, che non ha mai vestito i panni del mito. Ha sempre avuto la consapevolezza di essere un “attore per caso”. Da napoletano vero, ha guardato sempre al successo con una magnifica ironia («Io sono un intruso, al cinema sono arrivato per caso», diceva). In più era cattolico, e politicamente schierato a destra. Sarà per tutti questi motivi che oggi, alla notizia della sua morte, troviamo dei laconici articoli che ne elencano i successi e niente più. Non una testa del cinema italiano che scriva una riga. Nessuno che lo ringrazi per aver sollevato le sorti economiche della nostra settima arte. Fosse morto – tanto per fare un nome – un Nanni Moretti, avremmo avuto invece dieci pagine di giornali, con tutte le firme schierate a dire la loro. Invece Bud Spencer piace ai semplici, piace alla gente normale. E poi aveva un difetto imperdonabile: sapeva rasserenare gli italiani in tanti frangenti cupi della nostra storia recente. Era un grande attore, che non aveva problemi, né li poneva agli altri. Oltretutto era un uomo molto pacifico, a dispetto delle migliaia di pugni e calci che ha distribuito lungo la sua carriera di attore.
Al cinema ci era arrivato perché aveva sul gobbo delle cambiali da pagare. Cercavano un personaggio della sua corporatura (era 1,92 di altezza per 130 chili e 47 di piede) e lo scelsero a patto che si facesse crescere la barba e imparasse ad andare a cavallo. Era il 1967. Sul set di Dio perdona... io no! Incontra Mario Girotti, che tre anni dopo avrebbe inglesizzato il suo nome in Terence Hill. Fu subito coppia inossidabile, di amici veri, senza invidie né complessi. Psicologie troppo immediate e semplici per attizzare qualche ragionamento degli intellettuali, così affamati di complicazioni... Lui commentava così: «Io e Terence Hill è come se non esistessimo per la critica, nonostante i tanti record di incassi». Solo un grande uomo libero com Ermanno Olmi una volta fece un mea culpa: lo fece da presidente della giuria dei David di Donatello nel 2010 assegnando un premio alla carriera proprio a Bud Spencer. Olmi per altro lo volle in un ruolo drammatico nel suo film Cantando dietro i paraventi. Disse in quell’occasione di scusarsi per aver considerato lui e Terence Hill, esponenti di una cultura cinematografica di serie B.
Dalla loro, Terence e Bud hanno avuto infatti il genio di inventare dal nulla un genere. Fu un’intuizione nata dal nulla, quella che portò a girare il primo spaghetti-western nel 1970, Lo chiamavano Trinità. Un colpo di genio che li ha resi popolari in tutto il mondo. Oggi la notizia della morte di Bud Spencer è sulle prime pagine dei giornali tedeschi. E anche in America è molto più noto di tante nostre star. Pochi giorni dopo il trionfo di Roberto Benigni a Los Angeles nella notte degli Oscar per La vita è bella, TIME aveva pubblicato una classifica degli «attori italiani più famosi del mondo». Bud Spencer occupava il primo posto, seguito da Terence Hill al secondo.