Guardate che Alfred Nobel era un dinamitardo di prim'ordine
Nel terzo episodio - Alle prime luci dell’alba - della quarta stagione del Tenente Colombo, un cannoncino che doveva sparare a salve in onore del presidente di un’Accademia Militare in visita salta per aria uccidendolo all’istante. Il tenente scopre che la carica innocua era stata sostituita con della balistite, un esplosivo la cui detonazione era stata udita a chilometri di distanza, e arresta il colpevole.
Chi ha inventato la balistite? Alfred Nobel, quello del premio. Nato a Stoccolma il 21 ottobre 1833, morì a Sanremo il 10 Dicembre 1896. Una vita passata tra esplosivi e cannoni, viaggi in giro per il mondo - dalla natia Svezia, alla Russia, agli Stati Uniti e infine l’Italia -, momenti di povertà e altri di ricchezza incalcolabile. È stata sua, per un certo periodo, la Bofors, famosissima azienda svedese produttrice di armamenti - in particolare artiglieria navale, come la nostra OTO Melara, della Finmeccanica. Nobel non c’entra, però può essere interessante ricordare che nel1987 un contratto per milioni di dollari fra la Bofors e il governo indiano finì sulle prime pagine dei giornali perché la Radio Svedese rivelò un giro di mazzette di cui erano stati beneficiari politici di primo piano e alti gradi militari del paese asiatico. Qualcosa di simile a quanto si dice sia accaduto per certi elicotteri nostrani venduti al governo di New Delhi.
Balistite, artiglieria. A fare la fortuna di Alfred Nobel è stata tuttavia un’altra invenzione: quella della dinamite (1867), che lui avrebbe voluto chiamare “Polvere di Sicurezza Nobel”. Il pregio del prodotto consiste infatti nell’aver reso maneggevole la nitroglicerina, l’esplosivo inventato venti anni prima dall’italiano Ascanio Sobrero. C’è qualcosa di personale in questa invenzione “di sicurezza”: un fratello minore di Alfred, Emilio, morì infatti assieme ad altri quattro operai della fabbrica proprio mentre stavano maneggiando della nitroglicerina, che reagisce agli urti esplodendo. Per evitare le reazioni inconsulte che la rendono - di fatto - intrasportabile, Nobel mescolò a quel liquido giallastro della farina fossile: più precisamente un terriccio contenente delle alghe, le diatomee, note di questi tempi per essere state trovate nei polmoni della ragazza trovata morta sulle rive del lago di Bracciano. Fu così che la nitro venne addomesticata e il suo inventore diventò improvvisamente ricchissimo.
Le sue fortune aumentarono ulteriormente qualche anno dopo, quando in luogo della farina fossile utilizzò un composto colloidale di vari tipi di nitrocellulosa: nacque così la gelignite (= “gel che esplode”), la “gelatina” che compare in tutti i film (di qualche anno fa) in cui si deve far saltare qualcosa con dell’esplosivo. Rispetto alla dinamite, il gel ha il vantaggio di essere plastico, ossia di adattarsi facilmente a cavità della roccia o d’altro materiale. Si può così evitare l’uso del trapano o dello scalpello. La gelatina diventò lo standard per tutte le attività estrattive dell’Età dell’Ingegneria, come è stata chiamata. Non c’è miniera, strada, ponte o costruzione da abbattere al mondo in cui non se ne sia fatto uso.
Successiva al gel, la balistite del Ten. Colombo: la madre di tutti gli esplosivi moderni. Non poteva mancare, in questa rassegna di invenzioni a scoppio, il riferimento al detonatore, che è un altro brevetto del genio svedese. Paradossalmente, anche questo ritrovato va nella direzione della sicurezza: i materiali esplosivi saranno infatti costruiti - da allora in poi - in modo da rimanere inerti fino a quando qualcuno non decide di farli brillare. Ricordate il finale del Ponte sul fiume Kwai, probabilmente. O la strage di Capaci in cui morì Giovanni Falcone: qualcuno, dalla collina, attivò il detonatore dell’esplosivo posto sotto l’autostrada.
L’avvenimento che fece decidere questo fantasioso detentore di un numero imprecisato di brevetti a creare una fondazione che premiasse i maggiori ingegni del mondo per i risultati ottenuti nelle scienze e nelle opere di pace fu un clamoroso errore giornalistico. Nel 1888, in occasione della morte del fratello Ludvig, un giornale francese - Alfred in quegli anni abitava a Parigi - titolò erroneamente: «Il mercante di morte è morto». Alfred, il sopravvissuto, non la prese bene. Soggetto com’era a crisi depressive cercò un modo per pareggiare - o per lo meno per rendere meno oneroso - un bilancio della vita che non riusciva a volgere a suo favore. Così accettò il suggerimento di una - la seconda. Ne ebbe in tutto tre - delle sue compagne, la contessa austro-boema Bertha Kinsky, di devolvere parte della sua eredità in favore di quella che è poi diventata la fondazione che assegna i premi Nobel. Fu così che quando a Sanremo - dove si era trasferito lasciando il clima grigio della capitale francese per le assolate palme della zarina - il ricchissimo inventore morì improvvisamente di ictus cerebrale, nessuno dei suoi parenti né vicini né lontani ereditò qualcosa se non un ricordino: il 94 percento del patrimonio andò alla fondazione. Anche questa notizia deve aver fatto un bel botto.