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Dopo Parigi? "Libera nos, domine"

Guccini che non farà più canzoni «C'è troppo rumore nel mondo»

Guccini che non farà più canzoni «C'è troppo rumore nel mondo»
Persone 19 Novembre 2015 ore 15:15

Nel mondo c’è troppo rumore e chi, prima, riusciva a produrre suoni di senso può continuare a comunicare solo standosene in silenzio. Suppergiù è quello che ha deciso di fare Francesco Guccini, quando ha dichiarato che lui, di canzoni, non ne avrebbe scritte più. E non c’entra niente la questione dell’età e dell’avere già detto quello che c’era da dire. Il punto è che ormai la musica, per lui, è solo rima facile e ridondante, qualcosa che non sa raccontare più nulla.

 

 

«Non l'ascolto più nemmeno in macchina, troppe canzoni inutili», commenta il cantautore. Siamo pieni «di canzoni inutili, scritte con lo spirito con cui un tempo si scriveva il disco per l'estate. Ma d'altra parte oggi ti danno il disco d'oro a 25mila copie vendute, una volta ce ne volevano un milione. E i talent show che fanno fiorire solo illusioni». Qualche riflessione sullo spazio che avrebbe avuto oggi, se fosse nato, poniamo, negli anni Ottanta, suscita amarezza: «Coi tempi che corrono e la piega che ha preso il mercato discografico neanche avrebbero scommesso su di me dopo tre dischi dalle vendite non esaltanti». All’antipatia per lo scenario musicale contemporaneo – si parla, ovviamente, in termini generali – si è aggiunta, per Guccini, anche la fatica di scrittura: «Le canzoni per me andavano e venivano. Ho smesso di scriverle perché cominciavo ad avvertire una certa fatica nell'attività di scrittura».

Secondo il cantautore, infatti, a scrivere canzoni non si dovrebbero mica sudar sette camice. Per chi ha il talento, sarebbe un po’ come fischiettare un motivetto quando si esce di buonumore, alla mattina. La locomotiva, ad esempio, l’ha scritta in venti minuti – e sono tredici strofe, e che strofe; Gaber avrebbe richiamato l’attenzione dei bolognesi, avvertendoli: «Bolognesi! Ricordatevi: Sting è molto bravo, però tenetevi il vostro Guccini. Uno che è riuscito a scrivere 13 strofe su una locomotiva, può scrivere davvero di tutto». Per Guccini, pensare troppo sul testo di una canzone sarebbe stato come ricorrere a uno sforzo non necessario e dannoso. Meglio non accanirsi, e lasciare le cose come stanno. Con garbo e decoro professionale, dunque, il cantautore-cantastorie si è ritirato dalle scene. Ma pensare che abbia appeso al chiodo la penna, sarebbe un errore.

 

 

All’Osteria del Moretto, ex Osteria di Gandolfi, Guccini si presenta: «Mi chiamo Francesco Guccini, sono nato nella prima metà del secolo scorso, sono ancora vivo, ho fatto il cantautore e sono qui per presentare una raccolta di racconti e un box antologico della mia carriera discografica». Ora, il luogo è tutt’altro che sconosciuto al musicista. L’Osteria che negli anni Sessanta accoglieva studenti americani – in Italia per studiare medicina – e studenti greci – in fuga dalla dittatura – è stata frequentata da Guccini «praticamente tutte le sere, tra il '68 e il ’69». Non è certo un caso che l’Osteria bolognese abbia influenzato la canzone Osterie di fuori porta. La raccolta di racconti menzionata dal musicista, poi, si intitola Un matrimonio, un funerale, per non parlar del gatto (Mondadori, 15 euro), mentre il box antologico è stato chiamato Se io avessi previsto tutto questo. Gli amici, la strada, le canzoni, e uscirà il 27 novembre per la casa discografica Universal.

La silloge di racconti raccoglie i testi che Guccini ha scritto dagli anni Sessanta fino ad oggi. L’ambientazione è quella di Pavana, sull’Appennino Tosco-Emiliano, il paese dei nonni, quello in cui ha trascorso gli anni dell’infanzia. Il cofanetto, invece, sarà disponibile in due versioni, quella deluxe da quattro cd, o superdeluxe con dieci cd. Si tratterebbe di un vero e proprio scrigno del tesoro: vi sono infatti inediti riscoperti, piccole e grandi rarità, duetti e collaborazioni, ma anche i grandi successi e live mai pubblicati prima d'ora. Insomma, c’è tutta la storia di più di quarant'anni d'attività.

 

 

La vicenda di Guccini come scrittore di musica conosce una “preistoria”, ambientata nella redazione della Gazzetta di Modena. Nei primi anni Sessanta, un giovane Guccini – aveva vent’anni, allora – lavorava come giornalista, precario, per il quotidiano della sua città: «Il primo anno mi pagavano 20mila lire al mese. Al secondo me ne diedero 10mila. Chiesi il motivo e mi risposero che era perché avevo preso due settimane di ferie». Capitò, poi, che incrociasse un altro ragazzo modenese, Alfio Cantarella. Alfio aveva un gruppo, i Marino’s, e cercava un cantante che suonasse pure la chitarra. Guccini fece due conti, tra la musica e il giornale, e alla fine si buttò nella musica. Col tempo i Marino’s divennero i Gatti, che poi si unirono alle Tigri di Vandelli. Nacque così l’Equipe 84. Era, tuttavia, il periodo del servizio militare. Quando Guccini tornò dalla leva, «loro ce l'avevano fatta e io mi ritrovavo iscritto all'Università».

«Affari del genere ti lasciano dentro qualcosa di irrisolto, decisi allora di scommettere tutto sulla musica, abbandonai gli studi e tentai la carriera come autore». Scelse, ancora una volta, la musica. Il primo pezzo fu Auschwitz, ma poi l'Equipe 84 cambiò il titolo in Canzone del bambino nel vento. Nel 1967 seguì il debutto con Folk Beat, prodotto dalla Emi, poi altri tre dischi «comprati da sei persone», e Radici, album del 1972 (quello della Locomotiva), che deve tanto a Pavana e che segnò l’affermazione musicale dell’autore. Guccini continuò a scrivere e suonare fino al 2012, anno in cui uscì L’ultima Thule.

Oggi sembra che vi fossero parole profetiche, tra le canzoni scritte qualche decennio fa e c’è chi ha supposto che l’inedito Allora il mondo finirà (anni Sessanta) possa riguardare  quanto è accaduto a Parigi tra il 13 e il 14 novembre per mano dello Stato Islamico. L’autore, tuttavia, suggerisce che sarebbe un riferimento più coerente quello contenuto in Libera nos, domine: «All'epoca temevamo che il mondo finisse per un attacco nucleare. Nulla di simile a quello che si vede oggi. Che semmai è descritto in Libera nos, domine». Ascoltare, per capire.

 

 

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