Il Cervino che non c'entra coi cervi come il Monte Rosa con il colore

Matterhorn, cioè “La cima del prato” per gli Svizzeri. Cervino per gli italiani, anche se i cervi non c’entrano per niente. Come non c’entra il colore rosato col nome del Monte Rosa. Martedì 14 luglio erano centocinquant’anni esatti dal giorno in cui - primi - degli uomini posero i loro piedi sulla vetta. L’ultima vittoria della fase classica, pionieristica, dell’alpinismo moderno, apertasi l’8 agosto 1786 con la conquista del Bianco. Sempre martedì ricorreva pertanto anche l’anniversario della catastrofe che segnò il ritorno a valle, sul versante svizzero, dei conquistatori. La prima sciagura dell’alpinismo moderno: quattro uomini dei sette che costituivano la cordata precipitati per un migliaio di metri verso il ghiacciaio. Tutte le cronache riportano che essa ebbe origine su un passaggio non particolarmente difficile. Non sarà l’ultima volta che succede così: uno allenta per un attimo la tensione, scivola addosso a chi gli è sotto, questo non regge all’urto. È fatta.
Dato che subiamo il fascino l’alpinismo non scriveremo che erano bei tempi quelli in cui la gente, le cime si limitava a contemplarle. Però è stato così per secoli e non si capisce perché negli ultimi tempi sia venuta tutta questa voglia di andar su. In realtà non solo si capisce, ma si sa anche: ci furono motivi di ordine scientifico dapprima (si era interessati a conoscere le condizioni di pressione e temperatura delle vette, per cui si saliva sempre portandosi appresso un barometro) e di competizione nazionalistica immediatamente dopo. La salita al Cervino fu una gara del secondo tipo: nessun barometro nello zaino degli inglesi.
Vincitore risultò così Edward Whymper con una squadra composta da Lord Francis Douglas, Charles Hudson, il reverendo Douglas Robert Hadow e dalle guide Michel Croz e Peter Taugwalder padre e figlio. Secondi, a tre giorni di distanza (però per una via molto più difficile, una variante di quella che oggi è considerata la via italiana “normale”) arrivarono Jean-Antoine Carrel, detto il Bersagliere, padrone e guardiano di mucche, cacciatore, contadino ed artigiano, capocordata; Jean-Baptiste Bich, detto Bardolet, vera e propria leggenda dell’alpinismo valdostano; il povero (nel senso che proveniva da una famiglia povera) don Aimé Gorret et infine Jean-Augustin Meynet, tutti di Valtournenche. Disponevano di una corda doppia di 16 metri e in cima avrebbero piantato la bandiera italiana: 1 metro per 2. E sarebbero anche tornati giù senza incidenti. La pagina “Il nazionalismo italiano e l’invenzione del Cervino” racconta per filo e per segno come andarono le cose.




Abbiamo detto all’inizio che il nome italiano non ha nulla a che fare coi cervi. Deriva infatti dal latino mons (monte) silvanus, ovvero boscoso, che nel corso degli anni - come in altre zone delle Alpi - diventò sirvan e poi servin, la cui pronuncia (servén) indusse Horace Benedict de Saussure, gran cartografo del Regno di Sardegna e probabilmente parente dell’omonimo linguista svizzero, a trascriverlo come cervin, che in francese e patois valdostano suona esattamente come l'altro. Il nome scritto, come spesso accade, divenne ufficiale. Nella mitologia alpina i Salvàn (sarvàn o assimilati) sono gli uomini dei boschi, gli uomini selvatici. Il nome del Rosa, invece, deriva dal parlato “roza”, che ha la sua radice nel latino rosia, che significa “ghiaccio” ed è presente, per le solite strade contorte dell’etimologia, in “rugiada”.








E così sappiamo (quasi tutto) sulle prime ascensioni al Cervino. Ma non si può lasciare questa pagina sulla montagna forse più fascinosa al mondo - eccetto, per taluni, il K2 e l’ancora inviolato Gangkhar Puensum, la “montagna inclinata” -, non si può mai abbandonare, né iniziare, per la verità, nessun discorso sul Cervino, senza ricordare un’impresa il cui anniversario cade per altro ogni anno e tutti i giorni dell’anno: era il 18 febbraio 1965 - cento anni dall’impresa che stiamo celebrando, cinquant’anni fa - quando Walter Bonatti, da solo, partì per andare in cima. Trovate qui il racconto della mitica arrampicata, dell’arrampicata impossibile che tenne tutti col fiato sospeso per giorni e giorni.
Poi ci andò anche - in elicottero - Mike Bongiorno, per far pubblicità a una grappa. Ma quella è tutta un’altra storia.