Il commosso e commovente ultimo saluto di Stezzano a Oliviero Garlini, bomber gentile
Daminelli: «Ci portò a un passo dalla finale di Coppa delle Coppe». Benicchio: «Quante partitelle in via Caroli». Resterà «uno di noi»

di Laura Ceresoli
Dopo aver lottato a lungo contro la malattia, Oliviero Garlini se ne è andato giovedì 8 maggio a 68 anni, alla Fondazione Caccia Del Negro di Gandino. Ma per l’ultimo saluto è ritornato nella sua Stezzano, nella villetta di via Marco Polo dove aveva costruito la sua vita con la moglie Maura e i figli Tommaso e Davide. La camera ardente qui allestita è stata un fiume ininterrotto di affetto: ex compagni, tifosi, giovani da lui allenati e concittadini, uniti nel ricordo di un uomo che, nonostante il successo, non aveva mai perso la sua umiltà bergamasca.
I funerali, celebrati sabato 10 maggio nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, sono stati l'ultimo abbraccio di una comunità che lo ha sempre considerato uno dei suoi figli più illustri. Una folla immensa si è stretta attorno al «bomber gentile». Tra i presenti, si potevano scorgere i volti commossi dell’amministratore delegato dell’Atalanta, Luca Percassi, con la moglie Cristina Radici, il direttore generale Umberto Marino, alcuni ragazzi del settore giovanile e altri ex calciatori di quegli anni. La maglia nerazzurra dell'Atalanta è stata deposta sulla bara, mentre all'uscita del feretro campeggiava lo striscione: «Grazie Oliviero».
La famiglia Garlini ha voluto esprimere gratitudine verso chi, con straordinaria dedizione, ha accompagnato Oliviero durante la sua lunga malattia.
Nato a Stezzano il 4 marzo 1957, Garlini ha vissuto in paese i suoi anni formativi. La passione per lo sport affonda le radici nel 1969, grazie ai "Giochi della gioventù" organizzati dal Coni. A Stezzano, la pallavolo era disciplina molto sentita e praticata. Oliviero, allora studente delle scuole medie, si distinse subito, come racconta in una intervista del 1988 pubblicata su “Stezzano Nostra”:
«Nel 1970 mi inserirono nella squadra e Vittorio Serantoni mi portò a Roma per le finali dei giochi. Fu una esperienza positiva sotto ogni aspetto. A parte il successo della squadra, personalmente rimasi molto contento. Per me lo sport è sempre stato la cosa principale. Mio padre e mia madre mi lasciarono sempre fare di testa mia già da quando avevo 15 anni. Mi hanno sempre dato consigli e indicazioni perché rimanessi un bravo ragazzo. Questo sì! A mio padre non è che piacesse molto il calcio e lo sport in genere. Di me era orgoglioso, era contento se riuscivo a vincere e a segnare. Quando perdevo una partita mi consolava dicendomi che l'importante era che non mi fossi fatto del male e poi mi diceva, “vedrai che domenica ti andrà bene”».
La sua squadra raggiunse l’ottavo posto assoluto nelle finali nazionali, un risultato notevole per l'epoca: «Gli ho voluto bene come a un figlioccio, fin da quando ragazzino di 13 anni, nel 1970, l’ho portato a Roma alle finali nazionali dei Giochi della gioventù di pallavolo - conferma Vittorio Serantoni -. È stato un caro ragazzo e un bell'atleta».
La svolta nella carriera di Garlini arriva con il passaggio al calcio. Dopo le esperienze giovanili con la Stezzanese, dove giocò anche nel campionato di Promozione con un'età inferiore a quella consentita, la sua ascesa fu rapida. La sua carriera fu un susseguirsi di maglie importanti: Como (1975-76), Empoli (1976-77), Nocerina (1977-79), Fano (1979-80), Cesena (1980-84), Lazio (1984-86), Inter (1986-87).
«In particolare sono due le soddisfazioni che ricordo con più piacere - diceva Garlini - quando a 18 anni debuttai in serie A con il Como e quando a 29 anni passai dalla Lazio all'Inter». Nella stagione 1987-88 con l’Atalanta segnò 18 gol, contribuendo alla promozione in Serie A e alla storica cavalcata in Coppa delle coppe: «Ci portò a un passo dalla finale - afferma Fabrizio Daminelli, titolare dell’omonima ferramenta -. Le sue rovesciate erano spettacolo puro». (...)