Emilio Bianchi, il palombaro eroe che fece impallidire pure Churchill
Poteva morire molto prima Emilio Bianchi. Invece è morto il 15 agosto, a 103 anni. Poteva morire la notte del 18 dicembre 1941, quando gli andò fuori uso il respiratore subacqueo mentre stava attaccando una carica esplosiva sotto la Valiant, una corazzata inglese, nel porto di Alessandria d’Egitto. Ma quello non era il suo giorno per morire: riemerse, si attaccò a una boa. Gli inglesi lo videro, lo catturarono: ma quello, abbiamo detto, non era il suo giorno.
Ricostruiamo la vicenda da capo. Emilio Bianchi, assieme ad altri cinque matti da legare (perché chi ne ha conosciuto almeno uno lo sa com’era certa gente: matti duri, che lì per lì sembravano persone normali, eleganti nel portamento, di poche parole, una luce strana negli occhi. E poi qualcuno ti raccontava che cosa erano stati capaci di fare e capivi che non c’erano proprio con la testa. Appartenevano alla razza dei semidei, degli eroi prestati dall’Olimpo agli umani per far loro ricordare che cos’è un uomo). Dunque questo Emilio Bianchi, di professione capopalombaro, fu scelto assieme ad altri cinque per entrare nel porto di Alessandria a cavalcioni di un “siluro a lenta corsa” («maiale» in gergo e nella leggenda), attaccare delle mine alla carena di tre navi inglesi (due portaerei: oltre alla Valiant, la Queen Elizabeth; e una petroliera) e venirsene via prima che saltassero in aria.
L’impresa non si presentava semplice, anche perché l’accesso al porto era sbarrato con delle reti metalliche che si alzavano e abbassavano per lasciar passare le navi di Sua Maestà britannica.
I sei si allenarono per diversi mesi alla foce del fiume Serchio, nei pressi del lago di Massaciuccoli, senza che nessuno - tranne gli alti gradi militari - ne sapesse niente. Anche il “maiale” costituiva un’arma segreta: doveva essere cavalcato da due uomini, per cui ce n’erano tre in tutto. Notti e notti di immersioni completamente al buio, con materiali di ultima generazione ma comunque del 1940, per coordinarsi col compagno e imparare a pilotare quel salsiccione in totale assenza di luce e con del materiale esplosivo da far saltare in aria una corazzata tra le gambe o quasi.
Terminato l’addestramento i sei vennero recapitati in aereo in un porto italiano dell’Egeo dove furono presi a bordo del sommergibile Sciré, al comando di un altro supervaloroso, il comandante Junio Valerio Borghese, e finalmente messi in acqua a poche miglia di distanza dall’obiettivo. Diciamo i nomi di questi personaggi: il capitano delle armi navali Vincenzo Martellotta e il capo palombaro Mario Marino dovevano occuparsi della petroliera Sagona. Il capitano del genio navale Antonio Marceglia e il sottocapo palombaro Spartaco Schergat dovevano far saltare la Queen Elizabeth. E infine il tenente di vascello, marchese Luigi Durand de la Penne e il capo palombaro Emilio Bianchi, il nostro 103enne: la Valiant era tutta per loro.
La notte del 18 dicembre - successiva a quella prevista originariamente - i tre equipaggi violarono le difese del porto stando in scia a tre cacciatorpedinieri inglesi in entrata.
Durante la manovra di attacco il respiratore di Bianchi si ruppe. Intossicato, il palombaro capo dovette raggiungere la superficie. Arrestato e portato a bordo della Valiant fu sottoposto a interrogatorio pesante. Il suo compagno trascinò il veicolo sul fondo, scollegò - da solo - la testata esplosiva e la piazzò sotto la chiglia della Valiant. Quando riemerse - al limite delle forze - fu preso anche lui e costretto a subire il medesimo trattamento, che si concluse coi i due prigionieri rinchiusi in una cella al di sotto della linea di galleggiamento. In caso di esplosione sarebbero entrambi affogati.
Alle 5.30 del mattino, col timer che segnava 30 minuti all’esplsosione, il tenente De La Penne chiese di conferire col comandante dell’unità al quale rivolse queste parole: «Signore, le suggerisco di far evacuare la nave, fra poco ci sarà un 'esplosione». Il comandante lo ringraziò, fece come gli era stato suggerito, ma prima rinchiuse nuovamente i prigionieri nella loro cella. Fece evacuare buona parte dell'equipaggio, ma fece riportare l’ufficiale e il palombaro nella cella sotto la linea di galleggiamento.
Alle 6.00, puntualissimo, il botto. Nel trambusto i due riuscirono a salvarsi, furono nuovamente presi in consegna dagli inglesi, che li rilasciarono soltanto alla fine della guerra.
Ci sarà un’altra occasione per parlare della sorte degli altri due equipaggi e del destino delle navi saltate in aria.
Oggi è il giorno di Emilio Bianchi, al quale farà piacere sentir ricordare ancora una volta quel che disse Winston Churchill di quella notte. Disse che «sei Italiani equipaggiati con materiali di costo irrisorio hanno fatto vacillare l'equilibrio militare in Mediterraneo a vantaggio dell'Asse».
Italiani senza un soldo, tutto il resto coraggio.
Il ministro della Difesa Roberta Pinotti, ricordando ieri il palombaro capo - ma poi ufficiale. Ci mancava solo questa: che non lo promuovessero ufficiale - Bianchi ha detto: «Si è spento oggi l'ultimo degli eroi dell'impresa di Alessandria d'Egitto, dove il coraggio e l'ardimento permisero di ottenere altissimi risultati». Chi sa se lo aveva mai sentito nominare prima, la nostra ministro. Gli inglesi invece, che li avevano sentiti nominare, fecero - dopo la guerra - una cosa bellissima: fu infatti il comandante del Valiant sir Charles Morgan ad appuntare sulla divisa dei sei uomini la medaglia d'oro che la Marina della Repubblica italiana aveva loro assegnato. Così va il mondo: prima ti pesto ben bene perché tu mi dica dove hai piazzato la carica. Poi però lo capisco che sei un grande. Fare la guerra così, in fondo, non è male.