Il ponte gonfiabile sulla Senna

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Mio nipote mi ha fatto vedere questa gallery sul Corriere: qualcuno ha pensato di costruire sulla Senna un ponte gonfiabile col pavimento in tappeto elastico. Una figata pazzesca. Da andare a Parigi solo per attraversare la Senna a balzelloni: Rive droite, Rive gauche, Rive droite, Rive gauche, Rive... fino allo sfinimento. Ma le foto non sono vere: sono dei rendering, ossia immagini di come verrebbe il ponte una volta finito. Perché - così si conclude la notizia: «per ovvie ragioni di sicurezza questa struttura probabilmente non vedrà mai la luce».

Non mi sono accasciato sul tavolo, non sono stramazzato sulla sedia: per sopravvivere allo sconforto ho dovuto ricorrere al metodo Sheherazade, che si salvò la vita raccontando per mille e una notte al sultano storie meravigliose.

La mia comincia così: un paio di mesi fa sono andato a trovare mio fratello che abita in una città lontana lontana. Mio fratello è molto più piccolo di me, così abbiamo deciso di fare una puntatina ad una villa dei dintorni in cui trascorrevamo l’estate noi più grandi quando lui non era ancora nato. Non ci eravamo mai stati insieme, né lui da solo. Il luogo è magnifico. La sua atmosfera come quella di cui Alain-Fournier scrive in Le Grand Meaulnes: «Quando avevo scoperto il castello senza nome ero ad un’altezza, ad un grado di perfezione e di purezza che non raggiungerò mai più».

Il cancello, come sempre, chiuso. Ma io conoscevo un altro accesso, che speravo fosse rimasto lo stesso da sessant’anni fa (e oltre). Essendo sbarrato anch’esso non mi è rimasto altro da fare che violarlo in modo da poterlo ripristinare perfettamente all’uscita. E così siamo entrati. Un’ora di continua, assolata e sempre nuova meraviglia per il pozzo, la residenza del casiere col telaio a mano, il berceau, gli ulivi, l’orto, il portico. La casa non era nostra: la prendevamo in affitto dopo che c’erano stati gli sfollati per la guerra. Nel silenzio del meriggio mio fratello mi ha chiesto: «Scusami, non vorrei interrompere l’atmosfera: ma se qualcuno si faceva male, che succedeva? Moriva dissanguato?».

Aveva ragione. La villa non disponeva d’acqua corrente - bisognava andare a prenderla ad una fonte a un centinaio di metri giù in basso. Telefono, nemmeno a pensarlo. L’auto non l’avevamo. Il paese più vicino, a un kilometro di strada bianca. Era il posto più bello del mondo, come tanti altri in quel tempo fatato. Non sarò mai abbastanza grato alla (relativa) povertà dei miei che ci consentiva soltanto villeggiature di questo tipo fatte di cicale, giornate nei campi coi contadini, raccolta del grano, arature e granchi di fiume.

Sicurezza? Ma quale sicurezza? niente era a norma. Anzi: non c’era nemmeno la norma. Ci dicevano soltanto: quando accendi la luce, fa attenzione a non toccare i fili scoperti. Altrimenti saltano le valvole. Nemmeno: altrimenti ti becchi la scossa. Perché era ovvio che uno si prendeva la scossa e ci poteva anche restare secco se toccava i fili scoperti. Senza norma, senza sicurezze d’alcun genere abbiamo passato - noi grandi - il nostro tempo migliore, per dirla col contino di Recanati.

Adesso non ci vogliono far passare la Senna a capriole per motivi di iso non so che. E allora gridiamolo forte: ci sentiamo discriminati. Non è che vogliamo obbligare anche le vecchiette e i testimoni di nozze in Tight a passare su quel ponte, come non vogliamo obbligare nessuno a restar fedele alla moglie o al marito per il fatto che a noi va meglio così, ossia vivere insieme felici.

Ragioniamoci un attimo: il ponte, attualmente, non esiste. Quindi, chi vuole passare dalla Rive droite alla gauche deve prenderne un altro. Quando ci sarà il ponte per noi saltatori quelli che si sentono insicuri continueranno a prendere il loro solito, come il caffé al bar. Che problema fa, per loro, se noi facciamo le rane? Che problema c’è? che si sgonfi il gonfiabile? Vuol dire che faremo un bagno nella Senna. E magari qualcuno ci morirà anche. Con tanti che affogano negli stagni per voler salvare il cagnetto e altri che cadono dall’albero perché lo svettatoio è da smidollati, vuoi mettere la gloria di finire in un fiume famoso? Scusa, mi ha chiesto mio fratello, ma se uno si faceva male?

Se uno si faceva male moriva lassù. Ma lasciava una vita meravigliosa in quel profumo, una vita che non avrebbe avuto se mio padre e mia madre ci avessero negato, per motivi di sicurezza, il canto delle cicale, la paura delle vipere, l’odore delle foglie secche di ulivo e il profumo del legno di cipresso. La sicurezza - questo sì - va fatta osservare e resa osservabile sui posti di lavoro: ci mancherebbe altro (e invece lì spesso se ne dimenticano, perché costa troppo e cento altre scuse). Ma nella vita, la vita vale di più, molto di più di un filo scoperto o di una scala senza corrimano.

Se sono riuscito a rimettere a posto l’altro ingresso? Tutto bene. Non avrei toccato un filo d’erba e neanche un sasso, di quella villa, se fossi capace di volare. La sicurezza dei proprietari era costituita dalla mia nostalgia, non dai loro catenacci.

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