Il professor Franco Nembrini: «Insegnare è il massimo, un mestiere da Dio»
Gli inizi da studente-operaio, il tornado don Giussani «che venne a casa mia», Cl, la scuola La Traccia e i libri e i programmi su Dante e Pinocchio

di Bruno Silini
Sul canale YouTube di Tv2000, nella sintesi dell’intervista di Monica Mondo a Franco Nembrini, descrivono quest’ultimo come «un rude professore bergamasco, che ama insegnare e leggere la realtà con gli occhi degli autori che incontra».
Perché rude? Cosa ha mai fatto alla Mondo?
«Lei in televisione è abituata un po’ ai fighetti. Incontrando me, ha detto che sono rude».
Dovesse scegliere una qualifica, preferirebbe insegnante o narratore?
«Assolutamente insegnante. È il mestiere più bello del mondo. È anche una sfida, nel senso che educare è l’opera più simile a quella di Dio, che crea l’uomo e la sua libertà».
Il suo percorso di studi?
«Da questo punto di vista mi sento molto ignorante, perché a scuola non ci sono mai andato. Ero il quarto di dieci figli, con il papà malato. Dopo le medie sono dovuto andare a lavorare. Ho fatto un tentativo di un anno di liceo, ma siccome la situazione in famiglia era peggiorata dal punto di vista economico, ho cominciato a fare l’operaio».
Però l’amore per la letteratura e il sogno di insegnare continuavano a tormentarla.
«A 18 anni ho tentato la maturità magistrale da privatista. In tre mesi sono riuscito a diplomarmi preparando l’esame, allora bello tosto, di tutti e quattro gli anni per tutte le materie».
E l’università?
«Mi sono dovuto iscrivere per evitare il militare. Così mi sono ritrovato studente-lavoratore, anche se in Cattolica a Milano non ho mai fatto un’ora di lezione. Ci andavo solo per gli esami. A 21 anni monsignor Angiolino Nodari, notissimo insegnante al Lussana di Bergamo e responsabile dell’Ufficio degli insegnanti di religione, mi chiamò per chiedermi se volevo fare il docente. Prima iniziai in una scuola media a Torre Boldone, poi a Trescore per poi approdare alle scuole superiori, in una sede distaccata dell’Istituto Galli».
Perché chiamò proprio lei?
«Ero responsabile di Comunione e Liberazione qui a Bergamo e bazzicavo negli ambienti della Diocesi. Così, mentre insegnavo religione, pian piano mi sono laureato in Pedagogia. Ho vinto i concorsi al primo giro e così sono diventato insegnante di ruolo di Italiano e Storia negli istituti tecnici: il Maironi da Ponte a Presezzo, l’Esperia, due anni al Secco Suardo e gli ultimi anni qui a Trescore».
Il ’68 la mandò in crisi?
«Capitò a tutta la mia generazione. Fu un periodo vissuto con molta intensità. Si stava male».
Ma cosa volevate?
«Essere felici. E non ci riuscivamo. Ci sembrava che il mondo andasse cambiato perché così faceva ribrezzo. Io mi tiravo scemo con Leopardi, con Pirandello, con questi scrittori esistenziali che possono sì aiutarti, ma che ti sprofondano in brutte crisi se non hai un adulto che ti dà una dritta».
E lei l’adulto l’ha trovato?
«Sì, fu don Luigi Giussani. Venne a casa mia, proprio qui a Trescore, per conoscere i miei genitori. E fu come (...)