Il ricordo di una donna speciale: «Virgillito, professoressa esigente e poetessa visionaria»
Sonia Giorgi e Silvia Cavalli Felci tracciano un ritratto della docente del liceo Sarpi di Bergamo, morta nel '96, donna solitaria, amica di Montale
di Paolo Aresi
«Abitava in Città Alta, nel passaggio dei Canonici della Cattedrale. Nella sua casa c’era il pianoforte perché lei lo suonava. Si entrava e c’erano quattro scalini da scendere e poi le stanze e altri gradini. Era una casa su e giù, con mobili dell’Ottocento, c’erano libri ovunque, dava l’idea di un disordine vitale, non caotico».
Sonia Giorgi e Silvia Cavalli Felci parlano di Sara Rina Virgillito, per tanti anni docente del liceo Sarpi, donna di grande cultura, autrice di liriche essenziali, a tratti criptiche. Visionarie. La sua poesia era apprezzata da alcuni intellettuali, tra gli altri c’era quell’Eugenio Montale alla cui opera Sara aveva dedicato un saggio. Sonia Giorgi fu allieva della Virgillito al Sarpi e venne designata sua erede dalla stessa docente; Silvia Cavalli Felci è pittrice, disegnatrice: arricchì alcune pubblicazioni di Sara con le sue creazioni.
Sara Rina Virgillito morì nel 1996, ma la sua memoria non si è estinta: è stata avanzata la proposta di dedicarle una via di Bergamo. Abbiamo dialogato con le sue due amiche e collaboratrici.
Chi era Sara Rina Virgillito?
«Era una donna solitaria e visionaria, una mistica del Novecento. Era un’insegnante straordinaria, capace di donarti una cultura, un approccio alla realtà, profondissimo, che ti segnava per la vita. Ma era una docente anche molto esigente e per questo qualcuno non la amava».
Non era originaria di Bergamo.
«No, lei era nata a Milano da madre toscana e padre siciliano. Ma è arrivata a Bergamo nel 1943 e non se ne è più andata».
Scriveva poesie.
«Sì, era una donna di cultura sterminata, leggeva tantissimo, traduceva grandi autori stranieri. Per esempio Shakespeare o Rilke, le sue traduzioni sono state pubblicate da Jaca Book. Il suo autore preferito era Dante. Lei passava ore a camminare, poi si sedeva in un caffè. C’erano tre locali della città dove si sentiva a suo agio e lì leggeva e scriveva».
Quali bar?
«Scendeva nella città bassa. Andava in due bar di via Paglia, uno a metà, sulla sinistra, scendendo, forse si chiamava Mexicali, all’epoca. Un altro ancora in via Paglia, ma all’inizio, vicino a un negozio che vende stampe antiche e gioielli americani. Un piccolo bar: lei si sedeva all’aperto nella bella stagione. E il terzo era il Café de Paris all’inizio di viale Papa Giovanni. Lei andava dove si sentiva bene, a suo agio. E la si incontrava spesso che passeggiava per Città Alta o sulle Mura, le piaceva guardare lontano».
Non aveva parenti stretti?
«No, i genitori erano morti, non aveva fratelli e non era sposata. Ma aveva una vita ricca di amicizie selezionate. Era sempre bello incontrarla, i suoi pensieri aprivano spazi, socchiudevano porte. Ti faceva sentire bene. Era una donna aperta, la sua cultura non aveva steccati (...)