Jannuzzo tra Proietti e Matthau

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Grande successo per Gianfranco Jannuzzo con "È ricca, la sposo e l’ammazzo". A fianco dell’attore siciliano Debora Caprioglio e Antonella Piccolo, per questa versione teatrale diretta da Patrick Rossi Gastaldi liberamente ispirata al racconto di Jack Richtie e da cui è stato tratto il celebre film del 1971 di Elaine May con l’indimenticabile Walter Matthau. Una nuova sfida per   l’attore siciliano sempre più impegnato professionalmente in ruoli che oscillano sempre tra il teatro leggero, quando non comico, e quello "colto" di Pirandello o Shakespeare.

Formatosi alla bottega di Gigi Proietti, Jannuzzo rivela ancora oggi di essere uomo di teatro nel senso più classico del concetto, con incursioni indimenticabili nell’universo del one man show: uno per tutti l’irresistibile Nord e Sud. Prove artistiche e autorali che gli sono valse riconoscimenti importanti come il Premio Charlot, ricevuto ben due volte, La Giara D'Argento e il premio alla carriera MizzicaFILM. E adesso in tournée con l’adattamento teatrale della versione cinematografica Jannuzzo rilegge  la comicità di Matthau. Approfittiamo della sua sempre cordiale disponibilità, tipica ormai del vero signore d’altri tempi.

Jannuzzo come Matthau...

«Il paragone è arduo, non esageriamo. A me intriga piuttosto la lezione contenuta nel testo: un uomo in progresso che riesce a fare autocritica. Cercare di farne qualcosa di adatto alle mie corde è stata una bella sfida che mi ha messo personalmente in gioco».

Far ridere può essere una buona medicina per scacciare l’attuale mal di vivere?

«Fondamentale in momenti come questi. Sapere che la gente non pensa ai soliti problemi per due ore è gratificante. In tanti vengono  in camerino dopo lo spettacolo per ringraziarmi di avergli dato qualche momento di allegra spensieratezza. E questo mi ripaga di tutto».

C’è più teatro nella sua carriera  rispetto ad altre forme di spettacolo. Si tratta di una scelta precisa ?

«Ogni tanto bisogna ricordarsi del mestiere dell’attore nel senso più artigianale del concetto. Ma ovviamente cinema e televisione mi sono sempre interessati».

Raccontare  della sua Sicilia con un one man show o recitare come in questo caso in una commedia. Quale dei due ruoli ama di più?

«Sono due piani diversi. È ovvio che raccontare la mia Sicilia mi intriga sempre in modo particolare».

A proposito di Sicilia, cosa le suscitano episodi come il recente viadotto crollato sulla Agrigento-Palermo?

«Mi cascano semplicemente le braccia perché penso che siamo sempre alle solite...».

Torniamo al teatro. Di che mali soffre questa realtà culturale?

«Il teatro non viene aiutato in nessun modo. Intanto non va dimenticato che fare cultura è anche quando si tratta di rappresentazioni leggere. Il teatro è teatro e personalmente godo sempre della bellezza di una rappresentazione anche e soprattutto  dal punto di vista dello spettatore».

Non le sembra che oggi esista una miriade di attori improvvisati?

«È popolarità effimera: in realtà si creano generalmente solo miriadi di  speranze illusorie. Occorre invece grande umiltà e fare le cose per gradi, con grande voglia di imparare e tanta pazienza».

Cosa raccomanderebbe allora a un giovane desideroso di entrare nel mondo dello spettacolo?

«Come prima cosa evitare di prendersi troppo sul serio, però fare questo lavoro con la massima serietà:  un aforisma di Gigi Proietti che bisognerebbe sempre tenere ben presente».

Lei appare come un personaggio tutto sommato schivo, un siciliano di altri tempi assai riservato. Cosa ne pensa dell’attuale imperante protagonismo?

«Essere protagonisti è una dimensione diversa dall’essere malati di protagonismo. A volte pur di apparire si finisce per non essere se stessi».

Si ritiene un buongustaio? Quali sono i  suoi piatti preferiti?

«Adoro i "ditalini con le fave in bianco", ma anche l’ormai rarissimo "macco": un piatto povero ma per me ricchissimo. Inoltre devo citare la pasta di grano kamut di mia moglie Ombretta, con olive taggiasche, tonno, uvetta e sopra una bella spolverata di pangrattato tostato».

 E il vino che ama di più?

«Prediligo i vini secchi, vini siciliani come il Regaleali o il Rapitalà. E il Corvo di Salaparuta bianco... fantastico».

È tifoso di una squadra di calcio in particolare?

«Non lo ero. Ma  grazie o "per colpa" di mia moglie ho invece contratto una forte simpatia per l’Inter».

Qual è il suo mito artistico che resta inossidabile?

«Per diversi anni lo è stato il mio maestro Gigi Proietti. Ma non dimenticherò mai Walter Chiari: una persona brillante, colta e incredibilmente generosa. Un grande attore».

Alla sua età quale messaggio si sente di dare per guardare al futuro con più speranza e ottimismo, forse con un pizzico di leggerezza...

«Certamente leggerezza. Mai lamentarsi, perché come mi insegnava mio padre dobbiamo fare. Fare a tutti i livelli, sin dal momento in cui esprimiamo il voto politico o mediante il nostro lavoro o ancora nel nostro impegno civile. Dobbiamo essere propositivi. Sempre».

 

 

 

 

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