Juve-Napoli vista dal mio cortile Maria in festa, le marlboro di Anto'
«Allora, mi raccomando, niente trucchetti. Siamo intesi?». Faccio sì con la testa, è la resa finale. Avere una fidanzata fissata con il calcio è davvero un bel guaio. In serate come sabato, poi, è persino una maledettissima tortura. Io, influenzato, costretto a casa sul divano; lei, agghindata come un top model in viaggio, tuta, capelli raccolti e un filino di trucco, a spasso con le amichette ultrà a vedere Juve-Napoli. Al pub. Con le birre. Più ci penso e più vado fuori di testa. Comunque. Il giorno prima io e Lucy scommettiamo che i capoccia della Rai rimanderanno Sanremo, perché Sanremo è Sanremo, ok, ma il calcio in Italia vale molto più di un pugno di canzonette, o no? «Ma che cavolo dici? Perché vuoi scommettere una cosa così idiota?». Non lo so, e ovviamente perdo. Pago il mio debito scontando un sabato sera da lovers peggio che in gattabuia. Niente Mac. Niente smartphone, niente Twitter, Facebook e Instagram. Solo, esclusivamente la maledettissima Partita. «Perché, vedi, questa è una partita storica, una cosa grossa, te la devi vedere; se il Napoli vince è probabile che si spezzi un'egemonia che dura da anni, è un po' come l'eterna lotta tra il Bene e il Male, come Luke Skywalker contro la Morte Nera, come…». «Dart Fener, vorrai dire». «E' uguale». Lucy parla di calcio come un romanzo di Bret Easton Ellis, davvero molto american, e a me piace così. «Questo lo prendo io, così ti verrà meno voglia di alzarti e cambiare canale». Oh Cristo, anche il telecomando no. A questo punto, restiamo solo io e la Partita.
Nel condominio di fronte ci sta Maria. E' alta, bionda, fa l'avvocato coi tacchi a spillo. Ha un Labrador nero che ha chiamato Juve: serve aggiungere altro? Invece nell'appartamento a fianco ci stanno Antonio, il figlio Diego, un mormocchio alto così, e Carmela, la moglie. Lui è di Frattamaggiore, ma vive qui da almeno vent'anni. Una volta l'ho incontrato nel vialetto con addosso la maglia del Pocho Lavezzi. "Ehi, non sarai un po' troppo cresciuto per queste stupidaggini?", ho pensato io. Ma in fondo chi diavolo sono per giudicare una passione? E poi, di solito, Antonio non è uno a cui piace fare chiasso. Si mette lì, appoggiato al davanzale, e tira certe boccate dalle sue Marlboro rosse con un'avidità che non capisco fino in fondo. Deve però aver ragione Lucy, stasera è diverso, perché quando Bonucci anticipa di un soffio Higuain, alla prima vera azione degna di nota della partita, sento Antonio cacciare certi urlacci da gonzo. «Mannaggia a Bubbà», o qualcosa del genere. Mi alzo dal divano e vado a sbirciare da dietro le tende che cavolo succede: ecco la mia Juve-Napoli, un rimbalzare di emozioni da una casa all'altra, da un sogno all'altro dei tifosi italiani. Perché per una sera ti devi schierare, o stai con la Juve o stai con il Napoli. Sì, anche se c'è la serata finale di Sanremo.
A casa di Maria deve esserci una festa. Vedo le ombre scivolare dietro le tende, chi sta in piedi e non fa altro che oscillare, qualcuno entra ed esce da una stanza, saranno in dieci; facce che è probabile non vedrò mai. Immagino un gruppo di ragazze come Lucy e le sue amiche. Le birre lasciate a metà, le patatine nelle ciotole comprate all'Ikea, o magari qualche piatto più elaborato, sofisticato, però attentissimo a non superare le troppe calorie. Crespelle vegetariane, una cosa così. Dall'altra parte Antonio fa su e giù per la stanza, deve essere davvero nervoso, irrequieto, quel genere di serata da infarto premeditato. Che cavolo, però: manco giocasse l'Italia. Pensandoci è anche peggio, vale di più: siamo pur sempre il popolo frammentato e spezzettato dei comuni, dei gagliardetti, dei partiti politici minoritari, del Nord contro il Sud e del Sud contro il Nord. Juve-Napoli è, per una sera, lo specchio dell'esistenza italiana. Maria lo sa, Antonio lo sa. Lo sanno tutti che lo scudetto è una scusa, che il calcio è una bellissima scusa. E adesso che Napoli è lì a giocarsi la gloria, le luci della ribalta, quelli come Antonio sono tesi, hanno paura di fallire, perché sanno che se sbagliano poi è dura recuperare la proverbiale abitudine al successo degli juventini. Così quando, nel secondo tempo, Dybala caccia un tiro che manco un missile, sento i miei dirimpettai urlare «ooooh»: uno di speranza, l'altro di paura. E succede la stessa cosa poco dopo con Hamsik, dall'altra parte.
Cerco di essere neutrale, ma la spiritualità di Antonio fa quasi tenerezza, e penso a quanto sarebbe bello vedere Napoli in festa, una volta tanto. Per il resto, non è una partita avvincente. Di azioni non se ne vedono tante, e anche il mio spettacolo privato dall'altra parte del cortile si riduce a un perpetrarsi di gesti e suoni prevedibili. Maria e i suoi ospiti contro l'incessante nevrosi di Antonio, tutto qui. Così mi rimetto a sedere sul divano, tanto ormai manca poco e io avrò saldato il mio debito di spettatore obbligato da una stupida scommessa. Avrei quasi voglia di andare a dormire, ma Lucy mi ucciderebbe e io sono un uomo di parola. Fortuna che ci pensa Zaza a svegliarmi con un tiraccio sporco e deviato che finisce in porta. «Gooool», sento esplodere in cortile. Mi precipito alla finestra, voglio vedere la gioia di chi sta vincendo, la faccia di uno juventino felice, l'apoteosi che solo il calcio è in grado di regalare. E infatti da casa di Maria, per almeno un minuto buono, arrivano suoni di gioia ovattati, gente che sbraita, fa festa per il primato in classifica, e io che provo a percepirli, quasi suoni, a guadagnarmi un posto in prima fila a quella festa senza invito. A fine partita Antonio caccia un'altra Marlboro dal pacchetto, si appoggia dal davanzale, fissa un punto giù in basso. Allora apro la finestra: «E' andata male eh?». Antonio mi guarda, dà un colpo alla cicca. Sorride. «'A fissazióne è pèggio d'a malatìa, amico mio. E noi ci siamo fissati con la storia dello scudetto. Buonanotte». Buonanotte Anto'. Ma il campionato non è ancora finito.