Kurz, l'inamidato ragazzo prodigio che tiene l'Austria in pugno

Ne sentivamo il bisogno. Un nuovo rampante giovanotto tutto amido e politica. Oltre il Brennero, vive un trentunenne con la pettinatura di Ken di Barbie e la faccia del marito di Sissi. Alcuni, poco gentili, lo paragonano al figlio di Trump.
Il suo nome è Sebastian Kurz, nasce a Vienna, classe 1986 (come Di Maio), bimbetto prodigio, anche se non ha mai concluso gli studi in Legge (come Di Maio). Quando noi passavamo i pomeriggi a scegliere il colore della copertina della tesi e a levarci le foglie di alloro dai capelli, lui iniziava la sua carriera in politica e quattro anni dopo diventava ministro degli esteri, a soli 27 anni. La risposta austriaca a Trudeau (gli piacerebbe) e a Macron? si chiede la CNN.
Questo ancora non lo sappiamo, ma il Wunderwuzzi (bambino prodigio) ce la sta mettendo tutta e il travestimento è perfetto. Il successo di Kurz infatti, è calcolato nei minimi dettagli, alla cara vecchia austro-ungarica maniera. Volto giovane, colori della più pura gioventù germanica, austriaco come una Sacher, a bordo della Geil-o-mobil, accompagnato da alcune vistose signore. Interprete preparatissimo dei tempi e dei temi: lanciava preservativi neri esclamando “Black is hot” (il nero era il colore del partito, cambiato poi da Kurz in turchese). Suggeriva al nostro ministro degli esteri Alfano di imitare la strategia australiana coi migranti, confinarli sulle isole (indovinate quali e immaginatevi la faccia di Angelino). Nemmeno il sindaco di Lampedusa l’ha presa bene. Fatto sta che dopo l’incontro, a Kurz è balenata l’idea di proporre di chiudere il Brennero.
Kurz ha rischiato: ha respinto l'offerta del socio di governo socialdemocratico di mantenere in vita la Grande coalizione, ha chiesto le elezioni anticipate e ha vinto. Il capello biondo e laccato, il fare da genietto che sa quanto vale, da politico energico, entusiasta ma fermo, tutto il pacchetto fa di Kurz l’uomo su cui gli austriaci hanno voluto puntare. La cura della sua immagine durante la campagna elettorale è stata portata avanti nei minimi dettagli, nulla è stato improvvisato, anche l’assenza di cravatta è stata un accessorio, funzionale al messaggio. Così come l’azzurro nel logo del partito, l’impronta giovane, lontana dalla vecchia politica, ma capace di riproporre valori tradizionali. I contenuti sono stati espressi con ostentata serietà e freschezza e, infine, vincenti.
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La stampa estera nei suoi confronti è stata ferocissima, sono stati usati termini forti, tra i più teneri “Baby Hitler”. In realtà, l’elezione di questo ragazzo suggerisce quello che da qualche anno si sospetta: dietro una patina così curata e perfetta, dietro il filtro bellezza che scherma la sua immagine, si cela un mix confuso di idee, si sovrappongono euroscetticismo, xenofobia, immigrazione, terrorismo. Temi che possono essere trattati, condivisi o meno, ma bisognerebbe prima tracciarne i giusti contorni. Vedremo che combinerà il pettinatissimo rampollo.