La bella epopea di Nando Cappelli Il nonno della scherma orobica

Certi giorni il destino ha i capelli biondi e le lentiggini. «Vedo questa ragazza. Alta, tedesca, bellissima. Una sacca sulle spalle. Entra in una palestra. La seguo. Ma dove cavolo sono finito? Ci sono le luci, tutta le gente vestita di bianco, le spade. Uno mi urla di andare via, e io me ne sto per uscire perché tanto che cosa ci sto a fare lì. Un ragazzo gli risponde: "Ma no, è un amico mio: Maestro, lo lasci guardare". Dentro di me dico: "Cosa sta succedendo? Io qui di amici non ne ho". E insomma mi metto seduto a fissare le pedane e la gente con quelle spade vestita di bianco. È così che mi sono innamorato della scherma. La ragazza? Boh, chi se la ricorda più».
Certi giorni il destino è un soffio leggero che ti porta lontano. Come succede alle foglie d'autunno o ai palloncini temerari che scappano di mano per avventurarsi nel cielo. Nando Cappelli oggi ha 78 anni, una moglie, due figli, il solito accento bergamasco «un po' rude», un'azienda di trasporti che funziona alla faccia delle crisi e dei prezzi che si impennano ogni stagione, è presiedente della Scherma Bergamo e già che ci siamo trova pure il modo di far fare questo sport di un altro tempo a duecento ragazzini con lo stesso orgoglio di un nonno severo. Che non molla mai.




Nando è tornato qualche settimana fa dai Mondiali Master di Stransuld, Germania, perché il primo amore non si scorda mai e anche se gli anni passano «scendere in pedana e tirare con la grinta è una cosa che mi emoziona ancora». Certo la velocità non è più quella di una volta, Nando è stato eliminato quasi subito e a scanso si equivoci lo precisa subito lui: «È il peggior risultato della mia vita». Ma che importa, l'importante era esserci: «Con i Master ho fatto venticinque Europei (lo ha premiato anche la federazione Europea, ndr) e quindici Mondiali. E ho anche vinto degli ori e degli argenti», racconta. Nel 2011 la Federscherma gli ha consegnato il distintivo d'onore, uno stemma d'oro che pesa come un macigno e che Nando tiene tra le mani come se cullasse un sogno.
«Facevo il manovale alla Dalmine. Il giorno che entrai in palestra avevo ventidue anni e il ragazzo che disse al maestro di lasciarmi guardare era Antonio Albanese, l'avvocato che andò anche alle Olimpiadi. Lui era così, una persona di cuore. Quel giorno andammo a bere un caffè, fu lui a introdurmi. La scherma mi ha cambiato la vita. Mi ha dato la possibilità di vivere in un modo diverso, mi ha aperto gli occhi. Non sono mai stato uno elegante, io ci andavo dentro con la grinta. Così, zac! Ma per me la scherma ha significato molto di più: girare il mondo, conoscere gente, stare a contatto con una vita diversa».
Certi giorni il destino ti toglie e poi ti dà. «A ventiquattro anni vado a fare un torneo in Francia, una settimana. Torno e mi hanno licenziato. Cosa faccio? Due lacrimoni. Mia madre aveva messo su un commercio di legna e carbone e mi dice: "Comprati un pulmino, datti da fare". Poi ho messo su un'azienda. Mi sono fatto il mazzo e adesso la lascio ai miei figli».
Certi giorni il destino è un pesce fuor d'acqua. «Io ero uno del popolo, mentre quelli che facevano scherma nella palestra di via Angelo Maj erano tutti figli di ricchi, di avvocati, di ingegneri, insomma della gente che a Bergamo contava e mica poco. Io alle gare certe volte ci andavo col camion e poi tornavo indietro. Magari mi prendevano in giro, ma io stavo bene perché imparavo e quando impari è sempre una cosa preziosa. Non è poco per uno che si è fermato alla quinta elementare». Ma il bello è che poi, alla fine, ogni cosa si sbroglia perfettamente, le situazioni diventano chiare e il destino certe volte è lì davanti agli occhi che quasi non ci si crede.
«Con Antonio abbiamo messo su la nazionale Master. Era il 1987. Nel '91, in Argentina, ho vinto un oro, un argento e un bronzo nelle tre diverse discipline. Ma soprattutto, io con la scherma ho voluto dare qualcosa ai ragazzi. Organizzavo le pedane in piazza, nelle scuole, nei posti più strani. Adesso con la Scherma Bergamo di giovani ne abbiamo tanti, anche se le lezioni sono sempre troppo poche. Abbiamo un ragazzo forte che va in nazionale. Ho un maestro che viene da giù, che insegna, l'é brao, ma voglio che i ragazzi apprendano prima di tutto l'educazione, l'amicizia, i valori delle cose, che capiscano il valore dello studio, non solo la tecnica per tirare un colpo di fioretto».