La classifica del tonno in scatola Quali sono quelli più ecosostenibili
Il tonno in scatola ci piace. Quanti di noi non ne hanno una confezione nella propria credenza? È pratico e veloce, un’ottima soluzione d’emergenza quando non c’è tempo di fare la spesa. Per dirla in tonnellate, in Italia se ne consumano più di 140mila l’anno.
La Classifica Rompiscatole. Solo che – a quanto pare – il nostro amato pesce in lattine porta cattive nuove. Pare sia infatti diventato oggetto delle preoccupazioni degli animalisti di Greenpeace che, ogni anno, stilano la Classifica Rompiscatole. Con questa pagella conosciamo il posizionamento dei marchi produttori di tonno in termini di impatto ambientale, gli impegni presi e mantenuti dalle aziende per eliminare da queste apparentemente innocue scatolette il tonno catturato con metodi spregiudicati e distruttivi, ma anche quelli per assicurare maggiori garanzie per la tutela dei diritti dei lavoratori.
Quest’anno Greenpeace promuove un’azienda italiana, Asdomar. «Sempre attento alle tematiche ambientali, Asdomar offre un’ampia gamma di prodotti sostenibili: manca poco per essere al 100 percento sostenibile!». Questo è l’incoraggiante giudizio di Greenpeace per il primo della classe di quest’anno. Bocciato invece con nota di demerito Auchan, che «non ha preso alcun impegno per garantire la sostenibilità» e che da sempre è all’ultimo posto. Ma il bersaglio delle critiche più accese è Mareblu, dal momento che da quest’anno retrocede in fascia rossa. Il marchio aveva promesso il 100 percento di tonno sostenibile entro il 2016, ma non arriva neanche a un imbarazzante 0,2 percento. Come se non bastasse, l’azienda proprietaria, la Thai Union Group, è stata messa in relazione a casi di violazione dei diritti umani nella propria catena di fornitori, aumentando l’indignazione della ONG e dei suoi sostenitori. Questa è la ragione per cui, in questi giorni, viene chiesto di firmare una petizione online, attraverso cui sollecitare il direttore generale di Mareblu a mantenere gli impegni presi.
I criteri di valutazione. Ma come ha fatto Greenpeace a compilare questa classifica, che è ormai lo spauracchio delle aziende produttrici di tonno in scatola? Di brand ne vengono selezionati undici, cioè i più diffusi sugli scaffali dei nostri supermercati e che rappresentano l’80 percento del mercato italiano. I rappresentati delle aziende sono incontrati di persona, viene inviato loro un questionario per avere informazioni su prodotti e politiche aziendali, sono portate avanti indagini nei supermercati e consultate le informazioni pubbliche.
Ma veniamo ai criteri di valutazione, che sono ben otto, riassunti dalla classifica in cinque categorie: politica d’acquisto, metodo di pesca, specie di tonno, informazioni di etichetta, responsabilità sociale.
- Tracciabilità. Le aziende conducono indagini accurate su tutte le fasi della filiera, che va dal peschereccio allo scaffale del nostro supermercato?
- Approvvigionamento sostenibile. Quali sono i tonni pescati? L’azienda si preoccupa di stabilire dei criteri per sceglierli ed eventualmente migliorare le tecniche di rifornimento?
- Metodi di pesca. Qual è l’impatto del metodo di pesca? Cioè, vengono pescati solo tonni, o anche altre specie marine, come delfini, tartarughe marine e cuccioli di tonno?
- Stato di salute delle specie di tonno. Vengono scelti tonni sani? Sono preferiti quelli di specie numerose, o vengono indiscriminatamente pescati anche quelli di popolazioni in difficoltà?
- Etichettatura del prodotto e informazioni ai consumatori. Quanto è facile per il consumatore sapere cosa c'è nella scatoletta?
- Responsabilità - Impegni per una pesca equa e giusta. E i lavoratori? Sono garantiti loro diritti umani e sociali, soprattutto a quelli che sono a bordo dei pescherecci?
- Supporto alla creazione di riserve marine e promozione di un cambiamento dell'industria del tonno. Il pescato proviene da riserve marine? L’azienda si propone di porre limiti a una pesca eccessiva al di fuori delle riserve?
- Impegni precisi per evitare tonno che proviene pesca illegale, non documentata e non regolamentata. Si assicura che non vengano coinvolti operatori in attività illegali?
Contro l’opinione degli scettici, l’iniziativa di Greenpeace è lontana dall’essere un buco nell’acqua. Da quando iniziò questa campagna cinque anni fa, sono stati fatti grandi passi in avanti dalle aziende in fatto di sostenibilità ambientale. Con grande soddisfazione di Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia, questo «dimostra che le scelte dei consumatori possono davvero influenzare le decisioni delle aziende e garantire un futuro al mare».