La dottoressa Maria Teresa Lorenzi ha appeso il camice, in mezzo a mille grazie
Medico di famiglia a Ponteranica, ha annunciato la decisione di smettere su Facebook ed è stato un tripudio di commenti «che scaldano il cuore». E commenta: «Abbiamo trasgredito e siamo andati nelle case dei malati di Covid. A Sotto il Monte ho avvertito una liberazione dal peso di quei mesi»
di Bruno Silini
Ha annunciato la pensione sul proprio profilo Facebook. E subito per il medico di famiglia Maria Teresa Lorenzi di Ponteranica è cominciato un susseguirsi ininterrotto di commenti. Tutti a sottolineare il grande impegno professionale e l’indiscusso spirito di servizio per il paese e dintorni. Dedizione, competenza, disponibilità, attenzione, umanità, passione. Termini che si ripetono, accanto agli auguri per la meritata pensione, nei brevi pensieri social dei suoi 1500 pazienti.
Ma non solo. Perché a manifestare gratitudine alla dottoressa figurano anche molti suoi ex allievi ed ex allieve del corso post laurea di Formazione del Polo di Bergamo di medicina generale del quale, per diversi anni, è stata responsabile. Le giovani leve delle medicina di famiglia (Caruso, Bettini, Rota per citarne alcuni) sono passati al vaglio del suo “occhio clinico”. «Li ho letti tutti i pensierini digitali e cartacei - dice nel suo appartamento in via Valbona davanti alla trattoria Falconi -. Alcuni sono bellissimi e riempiono il cuore».
L’ultimo anno pensava di trascorrerlo in relativa tranquillità accompagnando i suoi pazienti al passaggio del medico, ma è arrivato il Covid a scompigliare le carte. E così il tutto si è trasformato in una sfida professionale senza precedenti. Una sfida che somigliava a un incubo. «Nel primo lockdown - continua - io e miei colleghi di ambulatorio contavamo 150 telefonate al giorno. 150 telefonate per ognuno di noi, sabato e domenica compresi. Possono dire quello che vogliono, ma a parte qualcuno che ha derogato al giuramento di Ippocrate (la coscienza è loro!) la medicina di base ha davvero fatto l’impossibile per garantire la vicinanza delle persone in carico».
All’inizio (quell’infausto 23 febbraio) le disposizioni vietavano ai medici di famiglia di visitare i malati a casa. «Ma c’era gente - continua la dottoressa Lorenzi - che moriva da sola, in casa, senza vedere un medico. Così in ambulatorio tra noi colleghi ci siamo guardati in faccia decidendo di trasgredire. Ci presentavamo in casa delle persone e dicevamo “Non dovrei essere qui...”. A giugno, quando la prima ondata si stava ritirando, sono andata a Sotto il Monte e davanti al sacerdote che mi confessava ho avvertito come una sorta di liberazione dalla pesantezza dei mesi precedenti».