«Non c'è odio nella nostra disperazione»

La grande dignità della figlia dell'operaio-eroe assassinato

La grande dignità della figlia dell'operaio-eroe assassinato
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Sabato 29 agosto, un padre ucraino di 38 anni va a fare la spesa insieme alla figlia più piccola, quella che non manca di portare con sé, nelle poche ore di svago. A casa ne ha altri due, lo aspettano insieme alla moglie, sua connazionale. Anatolij Korol è in Italia da molti anni e lavora come muratore. Nei periodi in cui le imprese non hanno bisogno di lui svolge altri mestieri, piccole cose per aiutare la famiglia. Storie di ordinaria fatica. E dignità. A Castello di Cisterna, nel napoletano, lo conoscono per essere un brav’uomo, e Anatolij Karol lo è davvero. Entra dunque nel supermercato “il Piccolo”, ma nota qualcosa di strano. C’è qualcosa che non ci dovrebbe essere. Dopo avere pagato alla cassa, dice alla figlia di restare fuori dal negozio, e di aspettarlo. Vede quello che temeva: due giovani minacciano la cassiera, vogliono il denaro. Karol interviene e afferra uno dei due con una presa militare. La sua reazione è istintiva, non lascia spazio a preoccupazioni per l’incolumità personale. Il complice del malvivente, che era già uscito dal supermercato, si accorge di quello che sta accadendo, torna indietro e fredda Karol con due colpi di pistola. I due scappano insieme. Questi i fatti, svoltisi in pochi secondi sotto gli occhi del personale del supermercato e della bambina che attendeva il ritorno del padre.

 

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Le indagini e l’identificazione. L’indagine avviata dal procuratore di Nola Paolo Mancuso si è svolta con rapidità e perizia. I carabinieri hanno passato in rassegna i video del circuito di sicurezza, hanno fatto una serie di perquisizioni in via Giacomo Leopardi nel rione Cisternina, e hanno trovato nella tromba di un ascensore due armi, un fucile mitragliatore e una pistola calibro 7,65, probabilmente l’arma del delitto. Accanto, munizioni e bilancini di precisione. Erano in perfette condizioni e ben oliate, hanno osservato le forze dell’ordine; in sostanza, erano pronte per essere usate. Poi, la svolta: i due rapinatori e assassini sono stati rintracciati a Scalea, in Calabria, dove si erano rifugiati subito dopo il delitto. Sono due fratelli, Gianluca Ianuale, 20 anni, e Marco Di Lorenzo, 32 anni. Nonostante abbiano cognomi diversi, sono entrambi figli del capoclan Vincenzo Ianuale. Pare che il primo non sia stato riconosciuto dal padre per questioni legate a litigi di famiglia. Ianuale senior è un personaggio fin troppo noto ai carabinieri; attualmente è in carcere per associazione mafiosa e altri crimini. Anche il figlio Gianluca Ianuale, l’assassino di Anatoly, si era già fatto conoscere alle forze dell’ordine per avere partecipato a uno stupro di gruppo.

Parole ingiustificabili. Oggi i rapinatori-assassini si dicono pentiti e piangono la miseria di una vita vissuta nella delinquenza. I due accusati affermano di essere andati a rapinare il supermercato, perché non avevano soldi per mangiare, adducendo la povertà a giustificazione di un atto ingiustificabile. I carabinieri hanno riportato che, in effetti, se la passavano male da parecchio tempo e non sarebbero stati comunque nelle condizioni di latitare a lungo. Hanno così indossato caschi integrali, maniche lunghe e perfino guanti di lattice. Sotto i caschi, maschere. L’eccessiva copertura li ha traditi: era evidente che era gente del posto, che non voleva essere identificata. Chiedono clemenza, ma la loro è la spudoratezza di chi crede di godere di una sorta di perpetua impunità. Intanto, i profili Facebook dei fratelli hanno raccolto le parole di sostegno di una serie di amici pronti a difenderli, mentre qualcun altro ha aperto una pagina sul social network dedicata alla memoria dell’ucraino, «Onore a Anatoly Karol».

 

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La confessione dei due fratelli. Portati in caserma, i due fratelli hanno atteso il loro difensore, l’avvocato Michele Sanseverino, poi hanno ammesso tutto: Marco è entrato armato nel supermercato, mentre Gianluca lo seguiva. A quel punto però è intervenuto l’ucraino, che ha atterrato Marco e ha coperto con le mani l’arma di Di Lorenzo, per impedirgli di fare del male. Gianluca ha cercato di fermare Anatolij prendendo il primo oggetto che è riuscito a trovare, la penna della cassiera del supermercato. Ha provato a ferirlo, ma la penna si è spezzata e allora, ha raccontato Gianluca, per liberare il fratello da Anatoly ha afferrato la pistola e ha fatto fuoco. Due colpi. Uno di questi è arrivato al cuore dell’operaio e l’ha ucciso sul colpo. Anatolij Karol è ora chiamato “l’operaio-eroe” e le autorità lodano l’alto spirito di sacrificio che l’ha portato a compiere il gesto che gli è risultato fatale. La moglie Nadiya ha portato la salma in Ucraina a Koodiyvka - piccolo paese a 500 chilometri da Kiev, vicino al confine moldavo - per le esequie e ha ringraziato più volte la Giustizia italiana per essersi mossa così velocemente.

La figlia di Anatolij. Anche la figlia quindicenne dell'operaio-eroe ha parlato della tragedia - lo riporta La Stampa - con toni che rivelano una rara nobiltà d'animo. Si chiama Anastasia ed è studentessa al liceo scientifico con la media del 9, nonostante sia in Italia da appena 6 anni (quando i genitori erano emigrati, lei era rimasta per tre anni con la nonna in Ucraina). Per suo padre Anastasia era la principessa di casa. «Appena ci hanno informato che i due rapinatori erano stati arrestati ho abbracciato forte mia madre e abbiamo pianto. Ma non c’è odio nel nostro dolore, solo tanta disperazione perché mio padre non tornerà mai più tra noi». Tornerete? «Anche se sono nata in Ucraina, il mio Paese è l’Italia. Una settimana fa l’avrei voluta abbandonare perché in Italia mio padre ha trovato la morte, ma poi con mia madre abbiamo capito che è nostro dovere realizzare il suo sogno di riscatto. Dobbiamo fare quello che lui avrebbe voluto».

Tanta gente ha promesso aiuto alla famiglia di Anatolij e Anastasia ha parole di gratitudine: «Non potremo mai dimenticare quanto stanno facendo per noi i carabinieri, il sindaco di Castello e il proprietario del supermercato dov’è avvenuta la rapina». E degli assassini di suo padre cosa pensa? «Uno ha appena 5 anni più di me. Dice cha ha ucciso perché sono poveri, che a casa hanno i mobili vuoti. E noi che cosa siamo? Mio padre lavorava come muratore dalla mattina alla sera e mai in nero, sempre con il contratto in regola. “L’onestà è la prima cosa, tu pensa a rispettare la legge, a studiare e ad aiutare chi ha bisogno e vedrai che nella vita ce la farai” mi diceva».

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