Petrov, l'eroe sconosciuto dell'Urss Salvò il mondo dalla guerra nucleare
Stanislav Petrov è un nome che probabilmente dice poco o nulla alla maggior parte delle persone, per quanto sia stato insignito di innumerevoli medaglie ed onorificenze. Ma ciò per cui vale la pena conoscere la sua storia non sono tanto i riconoscimenti, quanto il motivo per il quale se li è meritati: ha salvato il mondo dalla terza guerra mondiale. Possibile che un uomo si sia distinto in maniera tanto splendente e sia così poco conosciuto? A quanto pare sì: la storia, spesso, sa essere davvero irriconoscente. È dunque decisamente il caso di ovviare a questa mancanza, riavvolgendo il nastro al 26 settembre 1983, in una sera in cui davvero per un soffio non è scoppiata una tragica, e forse addirittura fatale per il mondo, guerra nucleare fra Usa e Urss.
La Guerra Fredda, il bunker Serpukhov-15, e Petrov. I primi anni Ottanta sono forse quelli in cui sono stati toccati i più elevati livelli di tensione fra Stati Uniti e Unione Sovietica, già da diversi anni, e ancora per quasi un decennio, impegnati in quella che è passata alla storia con il nome di Guerra Fredda. In quel momento era ormai consolidato il rischio della teoria della cosiddetta “distruzione mutua assicurata”: in caso di aggressione nucleare da parte di uno dei due contendenti, la risposta sarebbe per forza stata di eguale, se non maggiore, intensità, con la conseguenza che per nessuna delle due parti sarebbe stato possibile vincere, poiché la distruzione totale sarebbe sopraggiunta prima di qualsiasi possibile trionfo. Era il motivo per cui, alla fine, lo scontro fra Usa e Urss non si è mai verificato, per quanto, comunque, entrambi fossero sempre pronti a scatenare i propri arsenali nucleari in caso di prima mossa dell’avversario. In questo quadro di estrema tensione internazionale, la sera del 26 settembre del 1983, Stanislav Petrov, all’epoca tenente colonnello dell’esercito sovietico, raggiungeva il bunker Serpukhov-15, situato verso il confine occidentale dell’Urss, per ottemperare al proprio turno di comando. Il Serpukhov-15 era dotato di uno dei fiori all’occhiello della tecnologia militare sovietica: il “Krokus”, nome in codice di un sistema informatico avanzatissimo che permetteva di monitorare le attività missilistiche americane di tutto il mondo. Il compito di Petrov era chiaro e semplice: avvisare immediatamente Mosca qualora gli Usa avessero deciso di lanciare armi atomiche verso l’Urss, così da poter immediatamente contraccambiare la cortesia. Un’ipotesi che, naturalmente, nessuno sperava si verificasse, e che fino a quel momento effettivamente mai si era presentata. Ma proprio quella sera, contro ogni tipo di previsione o aspettativa, la spia rossa del Krokus si accese.
La dura scelta di Petrov. Stando a quanto dichiarava il preciso e infallibile Krokus, infatti, da una base missilistica americana situata nel Montana era appena partito un missile nucleare diretto verso il territorio sovietico. All’interno del Serpukhov-15 cala un silenzio madido di panico: tutti guardano Petrov, il quale, stando al regolamento, avrebbe dovuto immediatamente pigiare il pulsante rosso che avrebbe avvertito il Cremlino. Stanislav decide di far effettuare al suo team un dettagliatissimo controllo della tragica informazione appena ricevuta, e tutto veniva drammaticamente confermato. Nel frattempo, la spia si accende un’altra volta, e un’altra, e un’altra, e un’altra ancora: 5 missili atomici risultavano esser stati scagliati contro l’Urss. Un’arma di quel genere avrebbe impiegato all’incirca 20 minuti per arrivare dagli Stati Uniti al Paese sovietico, perciò occorreva agire in fretta. Si può solo immaginare lo stato d’animo che Petrov viveva in quel momento. Tutto diceva che l’unica cosa da fare era avvertire Mosca, e il prima possibile, così che il contrattacco potesse essere sferrato al più presto. Ma Petrov non era per nulla convinto: che senso aveva lanciare solo 5 missili? Un ipotetico attacco avrebbe dovuto consistere in decine e decine di bombe atomiche, in modo da annientare l’avversario sul colpo, senza permettergli di poter replicare. Cinque missili non aveva davvero alcun senso. In Petrov nasce dunque un’idea diversa: e se il Krokus si stesse sbagliando? Si poteva credere che un gioiello pressoché perfetto della tecnologia sovietica fosse in errore? La teoria diceva di no, ma il buon senso insinuava il dubbio. Intanto, i 120 volti degli altri presenti nel Serpukhov-15 erano tutti fissi su di lui, chiedendosi perché diamine attendesse così tanto ad avvisare Mosca dell’attacco in corso. Alla fine Petrov contatta sì il Cremlino, ma segnalare un’avaria di Krokus, non un attacco atomico in arrivo. Petrov aveva preso la sua decisione.
E il mondo fu salvo. Passarono alcun istanti la cui carica di tensione e di panico non è neppure possibile comprendere. Ad una manciata di minuti dal previsto impatto, improvvisamente, le spie di Krokus si spengono, e l’allarme cessa di suonare. Petrov aveva avuto ragione: Krokus si era sbagliato. I compagni di Stanislav si gettano su di lui in un abbraccio collettivo: quell’uomo aveva appena salvato il mondo. La scossa per Petrov fu tale che, scampato il pericolo, si accasciò su una sedia e bevve mezza bottiglia di vodka in un sol sorso. Dopo quella notte, dicono abbia dormito per 28 ore di fila. Da un gesto del genere si sarebbe aspettato il massimo delle onorificenze pubbliche. E invece il regime sovietico, preoccupato che si spargesse la voce dell’accaduto, ammonì Petrov, lo degradò ad un livello gerarchico inferiore, e addirittura, dopo pochi anni, lo prepensionò, invitandolo cordialmente (si fa per dire) a non far mai parola con nessuno dell’accaduto. Fino al 1998, Stanislav ha vissuto in monolocale nelle periferie di Mosca con una pensione di 200 miseri dollari al mese. Bel trattamento riservato all’uomo che aveva salvato l’umanità dalla sua fine. Finché, in quell’anno e a Guerra Fredda dunque ormai terminata, il comandante Yury Votintsev, che in quel 26 settembre 1983 era presente nel Serpukhov-15, rivelò pubblicamente quanto era accaduto, e Stanislav Petrov ricevette finalmente gli onori che si era pienamente meritato. Nel 2014 gli è stato dedicato anche un docfilm (The man who saved the world).