«Non ho finito mai di sperare»

L'attesa di verità di Mirko Turco Per 11 anni in carcere da innocente

L'attesa di verità di Mirko Turco Per 11 anni in carcere da innocente
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Mirko Felice Eros Turco, trentacinquenne di Gela, ha scontato undici anni di carcere con l’accusa di duplice omicidio, anche se in realtà era innocente e del tutto estraneo ai fatti. Contro di lui c’erano le dichiarazioni di ben sette collaboratori di giustizia, nonché il pesante riconoscimento di colpevolezza da parte della vedova di una delle due vittime, Orazio Sciascio. Turco si è sempre difeso, ma ha dovuto attendere molto tempo prima che la verità venisse a galla. L’avvocato Flavio Sinatra, che lo ha assistito per diciassette anni, ha dichiarato: «È finito un lungo calvario. Alla fine è stata fatta giustizia. Ora sono contento per lui».

I due omicidi. È il 23 maggio 1998 e alcuni rapinatori entrano nel negozio di alimentari di Via Pistillo, a Gela. L’esercizio commerciale è gestito da Rosaria Caci, 60 anni, e dal marito Orazio Sciascio, 66, operaio di mulino in pensione. I coniugi consegnano ai malviventi la cassa, ma Orazio si rifiuta di pagare il pizzo. I suoi figli sono entrambi carabinieri. Alla reazione dell’ex operaio i rapinatori estraggono un’arma e fanno fuoco. L’uomo muore davanti alla moglie. Pochi mesi più tardi, il 14 luglio 1998, i pompieri trovano i resti carbonizzati di un ragazzo di 16 anni in un canale del lungomare di Gela, in via Borsellino. La zona è quella in cui è avvenuto l’omicidio del negoziante, la chiamano contrada Locu Baroni. La vittima è Fortunato "Giovannino" Belladonna. In paese tutti sanno che si era avvicinato agli ambienti mafiosi, in particolare al clan di Giuseppe “Piddu” Madonia. Ma era poco prudente, compiva piccoli reati senza essere stato autorizzato dai piani alti; inoltre, era a conoscenza di alcuni retroscena legati al clan che dovevano rimanere segreti. Il ragazzo è stato torturato e soffocato con una pelle di daino, gli hanno sparato contro colpi di revolver e poi lo hanno bruciato. Una violenza inaudita.

 

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Gli arresti e la svolta. I carabinieri non hanno dubbi: gli omicidi sono collegati tra loro. Le dichiarazioni di alcuni boss diventati collaboratori di giustizia, pochi mesi dopo i due delitti, portano all’arresto di Rosario “Nino D’Angelo” Trubia, considerato il mandante degli assassinii, dei fratelli Rosario e Felice Collodoro, di Aurelio Trubia, fratello di Rosario, che viene però rilasciato perché presenta un alibi convincente, e di Mirko Turco. All’epoca Turco aveva soltanto diciassette anni. Fin dal primo giorno si dichiara innocente, ma nessuno è disposto a credere alle sue parole. La condanna, per lui, è l’ergastolo. Trascorrono dieci anni e Turco sconta una pena che non si è meritato. Poi due pentiti, Emanuele “Pracchia” Terlati e Nunzio “Nuccio Ciao” Licata forniscono agli inquirenti delle informazioni molto interessanti. Il caso relativo a Sciascio e a Belladonna è rimesso in discussione. Terlati e Licata, infatti, affermano che né Trubia, né Turco hanno preso parte agli atti di violenza. Ad avere ucciso il negoziante sono stati Salvatore Collura e Salvatore Rinella, esecutore materiale del delitto. Fortunato Belladonna, invece, è stato barbaramente ucciso da Carmelo Billizzi, il quale avrebbe confessato a Terlati di avere strangolato il ragazzo insieme a Gianluca Gammino. Licata conferma la versione di Terlati. Il boss Daniele Emmanuello avrebbe ordinato a Billizzi e a Gammino di scoprire chi avesse ucciso Orazio Sciascio. Il delitto, infatti, era stato commesso senza essere stato commissionato. I due malviventi hanno torturato Belladonna, perché pensavano che fosse stato lui, già noto per avere uno spirito d’iniziativa poco gradito ai capiclan. Lo hanno torturato tanto da averlo portato alla morte.

 

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La fine di un incubo. Nonostante l’opposizione della Procura Generale, che chiede di bocciare l’istanza di revisione presentata dall’avvocato di Mirko Turco, la Corte d’appello di Messina riapre il caso. Nel dicembre 2011 le dichiarazioni di Licata e Terlati vengono messe agli atti e nel 2012 il processo comincia a volgere in meglio, per Turco. Intravede la possibilità che la sua innocenza sia completamente riconosciuta. Intervistato dai giornalisti, afferma: «Non ho finito mai di sperare. Non mi sono lasciato prendere dalla depressione, mai pensato al suicidio, c’era in me la forza dell’innocenza e la convinzione che prima o poi la verità sarebbe venuta a galla». Ha provato «rabbia, delusione per una giustizia ingiusta, ma mai desiderio di vendetta». Finalmente la giustizia ripara al suo errore, un tragico errore, se solo si pensa che Mirko Turco ha vissuto la giovinezza dietro le sbarre, senza avere commesso alcun reato. Dopo tanta e sofferta attesa, il 12 settembre 2015 giunge l’assoluzione piena. Mirko è tornato ad essere un uomo libero.

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