«Una rete per nonno Angelo, tifoso speciale»

L'intervista al figliol prodigo Grassi in cui parlò anche di nonno Angiulì

L'intervista al figliol prodigo Grassi in cui parlò anche di nonno Angiulì
Pubblicato:
Aggiornato:

Poco più di sei mesi. Tanto è durato il distacco di Alberto Grassi da Bergamo. O meglio, dall'Atalanta, squadra con cui a iniziato a giocare a 7 anni e che lo ha portato fino alla Serie A. L'anno scorso il ragazzo classe '95 giocò un gran girone di andata, patendo in ben 13 occasioni da titolare nonostante la giovane età. Le prestazioni furono talmente buone che, a gennaio, molti grandi club si interessarono a lui. Alla fine, per circa 10 milioni, il Napoli lo portò sotto il Vesuvio. Lì, però, Grassi non è mai decollato: prima un infortunio, poi la strada bloccata da altri compagni. E così, il 30 agosto 2016, ha deciso di tornare all'Atalanta, seppur soltanto in prestito. Un ritorno a casa, come ha scritto lui stesso su Twitter. E noi vogliamo accoglierlo riproponendovi la bella intervista che gli abbiamo fatto circa un anno fa (era il settembre 2015), quando s'era preso la maglia da titolare della Dea e i cuori di tanti appassionati. Quattro chiacchiere ben oltre il campo di gioco. Bentornato a casa Alberto!

 

 

Si è parlato tanto dei nuovi acquisti de Roon e Kurtic, il centrocampo nerazzurro con loro ha fatto un bel salto di qualità e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. La storia dell’Atalanta, però, è zeppa di campioncini in erba che vengono plasmati a Zingonia prima di prendere il volo nel calcio che conta. E nel gruppo c’è un ragazzo del 1995, arrivato a Bergamo nel 2002 a soli 7 anni, e che da ormai 13 stagioni è protagonista con la maglia dell’Atalanta. Quasi nessuno lo conosce ma sta facendo passi da gigante. Lui è Alberto Grassi, un prodotto del vivaio atalantino, e la sua storia è quella che tutti i bambini sognano. A BergamoPost ha raccontato  le sue prime emozioni da protagonista nel calcio che conta, che dipingono un ragazzo veramente semplice e alla mano, nato e cresciuto in una famiglia con valori importanti e che in ogni partita ha un tifoso molto speciale che lo sostiene, nonno Angiulì.

Alberto Grassi, dai piccoli alla Prima Squadra: una storia tutta nerazzurra.

Ho fatto la trafila comune a tantissimi ragazzi, viaggi continui da Lumezzane a Zingonia, oltre ai preziosi consigli del "Maestro" Bonifacio. La mia storia atalantina ormai continua da 13 anni, ho fatto tutta la trafila e adesso sono in prima squadra. Un sogno che si è avverato.

 

 

In campo dai l’impressione di giocare senza nessuna paura.

È vero, scendo in campo tranquillo quando il mister mi chiama, perché tanto sono consapevole che in ogni momento c’è la squadra pronta ad aiutarmi. Sono contento della fiducia che mi viene data in questo momento e penso solo a come fare per dare il massimo: fino alla riunione tecnica delle 18.30 non sapevo che a Empoli avrei giocato, è stata una bella emozione.

A Empoli hai anche rischiato un tiro dalla lunga distanza nel primo tempo: segno di personalità.

Ho avuto la possibilità di accelerare e cercare la conclusione, ho deciso di tentare ma la palla è finita altissima. Allenatore e compagni mi dicono sempre di provare senza timore la soluzione da fuori area, come sempre succede in allenamento escono tiri incredibili, delle “tuonate” che si infilano all’incrocio dei pali. Poi la domenica, quando conta, cambia tutto...

Come mai hai scelto il numero 88?

Da quando gioco ho quasi sempre indossato la maglia numero 8. Scegliere la 95, il mio anno di nascita, sarebbe stato troppo scontato e visto che in prima squadra è Migliaccio ad indossare la mia maglia preferita ho deciso di raddoppiare mettendomi sulle spalle il numero 88.

Se dovessi definirti in tre parole?

Tranquillo, umile e alla buona. Penso ad allenarmi e vivo molto serenamente quello che sta succedendo. Il dialetto? Pota, è vero, non conosco l’inglese e allora parlo con tutti in italiano o in dialetto. Compresi gli stranieri. Nello spogliatoio di Bergamo si parla anche un po’ bresciano.

 

 

Bresciano?

Già, sono nativo di Lumezzane. Ora vivo a Bergamo, ma appena possibile torno a casa dai parenti e cerco di passare un po’ di tempo con loro. La mia ragazza Paola mi è sempre vicino, ho un fratello del 1989 che si chiama Stefano e che è proprio l’anticalcio: fa l’operaio, come mia mamma Manuela, mentre mio papà Paolo è in pensione.

Ti seguono tutti con passione?

Sempre, papà, mamma e nonno Angelo sono costantemente al mio fianco durante le partite. Il papà di mamma io lo chiamo Angiulì, ha 84 anni ed è più in forma di me: non mi dice mai nulla di particolare, è sempre contentissimo di vedere il nipote allo stadio che gioca e mi basta guardarlo per capirlo. Anche lui, come tutta la famiglia, è uno alla buona. Siamo gente semplice.

Cosa non abbiamo visto ancora del miglior Grassi?

Negòt, mi manca solo il gol. E spero di farlo il prima possibile. Mi chiedono se sono più un Cigarini o un Migliaccio, ma io rispondo che cerco di fare un po’ tutti e due. Certo, se non hai la qualità del Ciga diventa dura. Io penso solo ad allenarmi sempre a duemila all’ora, cerco di rubare qualcosa a Carmona, a Migliaccio, a de Roon, a Kurtic e al Ciga, ma anche a tutti gli altri compagni. Sono fortunato, nel gruppo tutti mi aiutano e cercano di farmi crescere. Fin da subito mi sono sentito uno dello spogliatoio.

 

 

C’è qualche appunto particolare che ti fanno durante il lavoro a Zingonia?

I compagni mi aiutano un sacco, il mister mi dice che corro un po’ troppo e che invece dovrei farlo un po’ meglio. Nel complesso posso confermare che nell’Atalanta c’è un gruppo solido che in ogni situazione si stringe attorno al giocatore che ha bisogno e lo aiuta. Questo aspetto è importantissimo per tutti i calciatori.

Hai 20 anni, sei al secondo anno in uno spogliatoio di Serie A: c’è qualcuno che ti mette soggezione?

Volete la verità? Assolutamente no. Dal primo all’ultimo elemento della rosa sono sempre tutti molto disponibili e non c’è mai stata nessuna mancanza di rispetto. Ne parlo anche quando vado in Nazionale, i compagni restano colpiti da come all’Atalanta un giovane venga coinvolto. Fin da quando, l’anno scorso, sono salito dalla Primavera.

L’anno scorso sei restato ma hai giocato pochissimo: tempo perso o tempo prezioso  per crescere?

Giocare fa piacere a tutti e non posso dire se ho perso o meno un anno. Certamente sono cresciuto tantissimo, mi sono sempre allenato al massimo ed è importante lavorare ogni giorno vicino a chi in Serie A ha già fatto tante partite.

Dove e contro chi sogni il primo gol?

Va bé töt, l’importante è che si gonfi la rete. In Primavera ho fatto qualche gol. Contro l’Udinese, il Milan e il Chievo Verona ho segnato reti importanti, ma pensando alla Serie A non ho davvero preferenze. L’importante è che riesca a segnare il prima possibile. Ci tengo.

Seguici sui nostri canali