Quell'intollerabile insulto del direttore del Financial Times

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Caro Direttore,

non so se fra le tue abitudini ci sia la lettura del Financial Times. Spero di no. Perché il commento in calce al massacro di Parigi, firmato dal signor Tony Barber, direttore dell'edizione europea del quotidiano della City (che alcuni provinciali italiani definiscono prestigioso: ma prestigioso de che?), mi ha fatto personalmente vomitare.

Mai lette tante scemenze e tante righe ributtanti tutte insieme. Il signor Barber, praticamente sostiene che Stéphane Charbonnier e gli altri undici martiri assassinati dai criminali terroristi islamici se la siano cercata. Hanno commesso l'errore di "deridere, stuzzicare e punzecchiare i musulmani" e ci sarebbe voluto "maggior buon senso".

Addirittura, nella prima versione dell'articolo, poi fatta sparire, si parlava di "atteggiamento stupido" di Charlie Hebdo.

Non pago, Barber, ha soggiunto: «Non si vuole minimamente giustificare gli assassini che devono essere catturati o suggerire che la libertà di espressione non deve estendersi alle rappresentazioni satiriche della religione. Ma si tratta semplicemente di dire che un pò di buon senso sarebbe utile a pubblicazioni come Charlie Hebdo e il Kjyllards Posten danese, che pretendono di sostenere la libertà quando provocano musulmani». All'anima della libertà d'espressione, di satira, di stampa; dello choc provocato in tutto il mondo da una strage per definire la quale non esistono aggettivi appropriati perché sono sempre insufficienti.

Ma cosa volete che gliene freghi a Barber? Seduto davanti al suo pc, nella sciccosa ed elegante sede del Financial Times, il soggetto ha sputato la sua sentenza in morte del direttore e degli altri eroi di Charlie Hebdo.

Chissà se Barber avrà mai letto le parole pronunciate dal grande direttore di Charlie quando ricevette le prime minacce dai terroristi islamici: «Non sono sposato, non ho figli, non ho debiti, non ho un'auto. Sono un uomo libero e preferisco morire in piedi piuttosto che vivere in ginocchio».

E chissà se Barber arriva a sedersi sulla poltrona dal direttore del Financial Times, edizione europea. Se lavorasse nel mio giornale, a uno così affiderei al massimo la pagina dei cinema. Temo refusi.

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